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sabato 2 febbraio 2008

I mille volti dell’incredibile Schnabel.

(Manuela Grassi - Panorama) A 43 anni Jean-Dominique Bauby fu colpito da un ictus. Si risvegliò dal coma con il cervello attivo e il corpo paralizzato, a eccezione della palpebra sinistra. Era la “locked-in syndrome”. Bauby, caporedattore della rivista francese Elle con due figli e una vita sentimentale complicata, riuscì, comunicando con il solo battito della palpebra, a dettare un libro che diventò un fulmineo best-seller pochi giorni prima della sua morte: Lo scafandro e la farfalla.

La versione cinematografica, premio per la miglior regia a Cannes, due Golden globe e quattro nomination all’Oscar, esce in Italia il 15 febbraio con lo stesso titolo, firmata dal pittore-regista Julian Schnabel. L’opera ne consacra il talento di cineasta, dopo i primi due film Basquiat e Prima che sia notte. E rinfocola la curiosità per un uomo ubiquo, multiforme, “larger than life”, dicono i suoi amici. In lui tutto si mescola per diventare prodotto artistico. Un esempio: nello Scafandro e la farfalla i titoli di testa scorrono su immagini di radiografie che Schnabel ha trovato in un vecchio padiglione vicino all’ospedale marittimo di Berck, in Normandia, dove ha girato molte scene. Subito ha pensato di trasformarle in quadri. Le radiografie scannerizzate e ingrandite sono state messe su tele. E la galleria Gagosian di Los Angeles dedica a queste opere, una ventina, il suo tradizionale Oscar show, dal 21 febbraio al 22 marzo. “Sono elegiache, intimistiche, molto diverse dallo stile eroico e visivamente aggressivo, fatto di pennellate vigorose, che di solito si associa a Schnabel. Sono vicine allo spirito del film” spiega Valentina Castellani, direttore di Gagosian New York.

A 56 anni, testa leonina e barba folta che incornicia una faccia da condottiero, la figura imponente avvolta da pigiami di seta mauve o da parei variopinti abbinati al blazer, l’artista non si priva di niente. Sontuoso il suo restyling del decrepito Gramercy Park Hotel di New York. Rosso veneziano il colore con cui ha dipinto Palazzo Chupi, sulla 11th street nel West Village, facendo infuriare il quartiere. Era una fabbrica di profumi su tre piani, lui ne ha aggiunti 11, lì ha casa e studio, e vende appartamenti di lusso: Richard Gere ha abboccato per 12 milioni di dollari. Schnabel è un vulcano, non privo di fiuto commerciale. Almeno sulla carta. Ha disegnato un letto in acciaio, prodotto in edizione limitata, per il quale la sua seconda moglie, l’ex modella spagnola Olatz Lopez Garmendi, ha creato una linea di lenzuola in cotone e lino che vende nel suo negozio Olatz. Ha anche inciso un disco nel 1993, Every silver lining has a cloud con la Island record: si può comprare su Amazon a 2 dollari. E girato Berlin, un documentario su Lou Reed.

La sua ultima mostra a New York Navigation Drawings è stata inaugurata l’8 gennaio alla Sperone Westwater Gallery, nel pubblico Al Pacino, Jeff Koons, Harvey Keitel (i media americani gli rimproverano di essere un cacciatore di teste famose). “L’ho conosciuto alla fine degli anni Settanta in ascensore, andavamo da Leo Castelli” ricorda il suo gallerista storico Gian Enzo Sperone. “Senza preamboli mi disse: “Ti conosco, tu dovresti vendere i miei quadri”. Schnabel è un personaggio imponente, ha la spontaneità dei bambini, si butta in avventure come quella del Palazzo Chupi, magari perché pensa di finanziarsi il prossimo film, si mette spesso nei guai”. Non sazio delle due case newyorkesi e di quella a San Sebastian, sulla costa basca, sta pensando di comprarne una in Messico, sul mare che ama da surfista accanito, nonostante i 140 chili.
Negli anni Ottanta ha avuto successo come esponente di spicco del neoespressionismo. Poi, alterne fortune. Continua Sperone: “Essendo un poeta vero, un pittore dai gesti ampi che producono una sonorità visiva, credo che alla fine abbia passato gli esami. Diciamo che forse oggi le sue quotazioni sono sottovalutate”. Il record più recente, per una sua opera del 1980, è di 822.400 dollari.

Anche in Italia Schnabel conta estimatori: adora Bernardo Bertolucci, e ne è ricambiato. La leggenda vuole che il pittore abbia cantato tutta la colonna sonora di Novecento al regista di Parma, conquistandolo. Meno certa la frase di Bertolucci: “Ho trovato uno che ha un ego più monumentale del mio”. È con il nome di un personaggio di Novecento, Olmo, che Schnabel ha chiamato il suo ultimo figlio. La sua immagine viene accostata alle brand di lusso. Matteo Montezemolo, vicepresidente della Poltrona Frau, lo ha voluto tra i testimonial dell’ultima campagna pubblicitaria: “È tra gli amici che hanno aperto per noi i loro studi e le loro abitazioni” afferma. Da anni Schnabel è amico della famiglia. E il padre di Matteo, Luca, ha alcune opere del pittore americano nella sua collezione di arte contemporanea. Anche Tonino Perna, presidente di It holding (marchi Ferré, Malo), nella sua collezione ha Schnabel: “Penso sia un grande, una forte personalità internazionale che resterà ai posteri”. Un quadro di Schnabel dei primi anni Ottanta campeggia nella boutique Malo in via della Spiga a Milano.

Qualche anno fa il pittore fece il ritratto a Roberto Cavalli, a New York. Un quadro della serie dei “piatti” (frammenti di stoviglie fissati su tavole di legno). “Pensavo che il risultato sarebbe stato molto astratto” dice lo stilista. “Non mi fece vedere niente fino alla fine, e la sorpresa fu grande: un ritratto vibrante, vero, con occhi di incredibile intensità”. Alla rituale Amfar night di Cannes il maggio scorso, la cena che raccoglie fondi per la ricerca contro l’aids, Schnabel ha messo all’asta la sua disponibilità a ritrarre chi faceva la miglior offerta, e Cavalli si è aggiudicato il ritratto per sua moglie Eva: “Un uomo di cuore, artista poliedrico e pieno di energia” conclude.
Come regista predilige gli aspetti non glamorous della vita. La malattia del padre, un immigrato ebreo cecoslovacco, scomparso a 92 anni, lo ha avvicinato al libro Lo scafandro e la farfalla. “Mio padre aveva paura della morte, perché non era mai stato malato” confida Schnabel. “Finché ha assistito mia madre, con la quale è stato sposato 60 anni, non ha pensato a sé, ma quando lei è morta, ha dovuto affrontare il suo destino. Non sono riuscito ad aiutarlo”.

Vicino al padre nei suoi ultimi giorni c’era l’infermiere Darin McCormack: “È stato lui a darmi il libro di Bauby, tempo prima” ricorda Julian. Così si sono intrecciati i fili. Nei primi 20 minuti di Lo scafandro e la farfalla lo spettatore vede esattamente quello che vede Bauby. Solo dopo la macchina da presa svela il personaggio (interpretato dall’attore francese Mathieu Amalric, straordinario, il prossimo cattivo di James Bond). La cosa inattesa è che il film fa spesso ridere, perché il libro (Ponte alle Grazie) rivela lo humour indomabile dell’autore (per esempio il flashback di una gita a Lourdes con l’amica, drammaticamente poco erotica). Persa la vita di un tempo “Jean-Do” rinasce a un’altra vita, quella di scrittore. Superbe le immagini: “Sono stato fortunato: l’ospedale di Berck sembra lo scenario di un film di Antonioni” dice Schnabel.
Aspettando la notte degli Oscar, il 24 febbraio, l’artista può archiviare un 2007 scintillante. Il suo film è stato premiato, le sue opere sono state esposte ovunque nel mondo, dalla Spagna alla Cina, all’Italia. A Palazzo Venezia, ha incontrato la giornalista palestinese Rula Jebreal. “Ho parlato con il suo produttore Jon Kilik, che è anche il produttore di Babel” dice Jebreal piuttosto contenta “mi ha chiesto se avevo uno script basato sul mio romanzo La strada dei fiori di Miral, che parla delle donne palestinesi in Israele. Ce l’avevo, ma si è creato un problema di diritti. Insomma, per ora è un progetto, ma ci stiamo lavorando”.
(ha collaborato Erika Suban)

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