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sabato 9 agosto 2008

Padova. A causa del gayvillage tensioni con i locali padovani. Concorrenza sleale?

Padova, il festival svuota la notte in città. Attira anche famiglie L'accusa: «Nessun controllo». Il Comune: «Tutto regolare». Folla variegata, come a una sagra di paese: mille persone a sera, tremila nel fine settimana al Padova Pride Village. Arrivano da Venezia, Treviso, Vicenza, ma anche Bologna e Ferrara.

(Francesca Visentin - Il Corriere venet0) C'è l'avvocato che si allenta la cravatta al lounge spritz bar e sorseggia un prosecco prima di cena, c'è il gruppo di amiche che si scatena nella discoteca all'aperto. E la famigliola che mangia la pizza al «risto-village»: menù gratis per i bambini. Poi s'incrociano anche gli ultras del Calcio Padova, dirigenti, manager e imprenditori. Folla variegata, come a una sagra di paese. Il Veneto ha scoperto l'orgoglio omosessuale: mille persone a sera, tremila nel fine settimana al Padova Pride Village.

Ex discarica bonificata
Arrivano da Venezia, Treviso, Vicenza, ma anche Bologna e Ferrara. Così l'ex discarica a cielo aperto di Corso Australia a Padova, bonificata e trasformata dall'Arcigay nell'unico Pride Village veneto, il secondo in Italia dopo quello di Roma, è diventato il polo regionale dell'intrattenimento. Ad affollare il Village non c'è solo il popolo gay. Anzi. Chi ci va per spiare ammucchiate lesbo o effusioni spinte, resta deluso.

Le mamme
Un po' di drag queen variopinte, qualche ragazzone in costume che mostra i muscoli, coppie mano nella mano, colore e romanticismo.
Circolano più mamme con passeggino che ragazzi che amano ragazzi. «Il Village è la festa di tutti», dice lo slogan del Pride.
Il Veneto ha risposto. Come aveva risposto la città del Santo al Gay Pride del 2002: centinaia di omosessuali in corteo per le strade e i padovani affacciati alle finestre applaudivano.
«E' una bella festa, seria, pulita, dove non c'è droga né alcol dice Mario Beltramelli, ex consigliere di An, militante di destra, seduto al ristorante del Village con moglie e figli - . Ci torno anche domani, c'è il pesce fritto: lo spettacolo è bellissimo e si mangia bene. Se poi incontro uno con il boa rosa, quelli sono affari suoi».

Vuoti gli altri locali
Tanto successo alimenta la rabbia di chi invece ha visto crollare i guadagni: baristi e esercenti di Padova si trovano con i locali vuoti. E il Comune di Padova ha bocciato il tradizionale polo estivo dell'aperitivo, che trasferiva i bar del centro sul «Naviglio» lungo il Piovego: alcol a fiumi e affari d'oro per chi gestiva i chioschi all'aperto. Si rodono e sparano a zero contro il Village: «Solo uno spot elettorale». Puntano il dito contro Alessandro Zan, consigliere comunale a Padova di Sinistra Laica, oltre che coordinatore regionale Arcigay, l'ideale candidato sindaco di Sinistra Arcobaleno, Comunisti e Sinistra Critica. Zan ci ride su: «Non ho certo bisogno di fare un Village per raccogliere voti - replica - . La mia attività politica di questi anni parla chiaro: Padova è diventata la città della tolleranza, apripista in Italia per i diritti civili. Citata come esempio a livello europeo». Ma i baristi accusano: «Iniziativa commerciale, giro di soldi senza controlli ».

Le autorizzazioni
«E' tutto in regola, certificato e dichiarato», ribattono dall'Arcigay. E sfoderano un pacco di autorizzazioni. Il Comune di Padova conferma: «La commissione vigilanza ha fatto verifiche scrupolose, tutto è a posto». Claudio Malfitano, presidente Arcigay Padova, precisa: «La concessione dell'area ci è stata data dall'amministrazione dopo avere verificato i pareri di tutti i settori. I controlli ci sono stati. I costi di gestione quotidiani sono enormi perché vogliamo dare il massimo a chi arriva al Village. Ma l'ingresso si paga solo nel fine settimana».
Zan ribatte agli esercenti: «Solo accuse false, nascono dall'invidia. Di locali estivi a Padova ce ne sono, perché la gente non li frequenta?
Forse perché ai baristi interessa solo vendere alcolici e fare soldi sulla pelle dei giovani, senza offrire alcuna proposta culturale ».

I volontari
Hanno lavorato in sessanta all'ex Foro Boario, volontari dell'Arcigay, per strappare le erbacce, pulire e attrezzare un'area abbandonata di Padova. «E' stata l'occasione per fare riscoprire una parte della città degradata - sottolinea Alessandro Zan - . Dove c'era una discarica abbiamo creato intrattenimento. Questa cattedrale nel deserto è l'unica struttura di arte moderna a Padova, segnalata perfino al Moma di New York. Era finita nel totale oblio, adesso possono vederla tutti i veneti».
Il successo della manifestazione? «Non c'è confusione. E le famiglie si sentono sicure».
Mettere in piedi il Village è costato 150 mila euro, che gli organizzatori stanno cercando di coprire con gli incassi serali. Cinquantamila euro per gli spettacoli in cartellone, circa 5000 euro solo per lo show internazionale di ieri sera delle Sorelle Marinetti. «Le entrate sono dichiarate alla Siae - garantisce Zan - ogni sera c'è un dipendente Siae che controlla».
Perché le famiglie scelgono il Pride Village? «Ci sentiamo sicuri - risponde Sonia, mamma di Padova, due bambini biondi con i palloncini al seguito - l'area è sorvegliata, non gira brutta gente».
«C'è un'agenzia di security che vigila sul Village contro lo spaccio, il consumo di stupefacenti e l'eccesso di alcol - sottolinea Zan -. Chi viene sorpreso con la droga (ci sono cartelli di divieto dappertutto), è allontanato e segnalato alle autorità».
A sdoganare il Village come ritrovo «in» dell'estate veneta anche i «partners commerciali»: il gruppo Silva, gli hotels Nh, Pepsi, Red Bull, PadovaFiere, Forst, Mazzucato group, imprese di primo piano.
I baristi padovani perdono incassi e insistono: «Quando volevamo dislocare lo spritz, il Comune ci aveva detto che l'ex Foro Boario era inagibile, poi l'ha dato a Arcigay, due pesi e due misure», incalza Federico Contin, leader dei baristi infuriati. Tira dritto il Village, diecimila presenze in sette giorni.

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