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mercoledì 30 luglio 2008

Die Linke o morte, l’inutile telenovela a sinistra del PD.

(Giornalettismo) Vi è qualcosa di sinceramente paradossale in ciò che succede “alla sinistra del Pd“. Un obiettivo politico - e un “fratello maggiore” di un certo successo - c’era. Ovvero la Die Linke tedesca, per quanto il paragone a taluni possa sembrare orribile; stiamo ai fatti: “Nelle elezioni del 2005 il partito ha ottenuto l’8,7% dei voti con 51 seggi e gode di un rilevante potere politico [...]. Nelle elezioni comunali in Sassonia, svoltesi l’8 giugno 2008, l partito ha raggiunto il 18,7% “. C’era anche il tempo, anche se non tantissimo, e un paio di fuoriusciti dal PD che potevano portare il tutto a una somiglianza impressionante. Quando Cesare Salvi cominciò a “farsi notare”, scavalcando in commissione il neonato Partito Democratico nel dibattito sulla legge sui Dico. Insomma, l’Oskar La Fontaine c’era, e il resto poteva arrivare.

Questi sono i risultati di un sondaggio - di certo senza alcuna valenza scientifica - proposto su Repubblica ieri: il 75% vedono o uno solo oppure nessun partito alla sinistra del PD. Non sarà indicativo del campione, non rappresenterà il pensiero di tutti quelli che si identificano in quell’area, tutto

quel che volete: è comunque significativo. E invece Rifondazione Comunista tira fuori il congresso più surreale della storia, con tanto di riesumazione della salma (politica) di Fausto Bertinotti forse direttamente da una di quelle feste alle quali da presidente della Camera raramente mancava, dando modo a tutti di ammirare la sua abilità come ballerino. Segue un Nichi Vendola che se ne va prima della fine del conteggio dei risultati, dopo essersi accorto che non vincerà perché ha raggiunto una maggioranza relativa e non assoluta, e il parterre finale spetta all’ex ministro Paolo Ferrero, un cristiano valdese che finalmente è arrivato a sedersi sullo scranno più alto di un partito che si chiama ancora “comunista“. Volessimo sfottere, tireremmo in ballo il sogno nascosto di Aldo Moro finalmente realizzatosi. Se non fosse che Ferrero ha vinto in nome dell’antivendolismo, quando altre liste in ballo si sono coalizzate pur di dare un segnale di “rinnovamento” cacciando via il pupillo e l’erede designato di Bertinotti.

Poi ci sarebbe il Partito dei Comunisti d’Italia: “I punti di unione tra Diliberto e la Rifondazione di Ferrero-Grassi-Pegolo e Giannini sono anche molti altri: il comunismo, la lotta di classe, i simboli, il no ad ogni ipotesi di riedizione dell’Arcobaleno, e più di tutto il no ad ogni accordo col Pd. Insomma, forte identità, quasi settarismo, molto a sinistra e molto dal basso, molto di lotta e mai più di governo. Opposizione a vita e mani libere“. In pratica, un club del bridge. Fortemente orientato “al popolo, al sociale, al precariato, alla rivoluzione d’Ottobre e bla bla bla“, ma un club del bridge. Poi c’è una “costituente di Sd“, il cui leader è Claudio G. Fava. Le parole sono buone - “Gli elettori ci dicono mai più ciascuno a guardia del proprio museo e ci chiedono di riorganizzare la sinistra in un campo molto più vasto e inclusivo. Invece, cantare Bandiera Rossa è come fare la guardia al proprio museo” - le idee distintive, per ora, pochine. Cosa si vuole, in economia e nel welfare, nella propria idea di paese non si dice. In una parola: ombelicale, per ora.

A dare un plus di surrealità al tutto ci sono i Verdi. Che hanno eletto Grazia Francescato come portavoce, in continuità con la gestione di Alfonso Pecoraro Scanio. I maggiorenti del partito saranno di sicuro coscienti che Pecoraro non è stato esattamente il ministro più amato tra quelli del fu governo Prodi. Figuracce folkloristiche rimediate leggendo male la colonnina di mercurio (sono cose che capitano), e poco convincenti difese d’ufficio nell’emergenza monnezza di Napoli. Fino all’accusa di corruzione: “Secondo l’ ipotesi accusatoria, il ministro, grazie a questi rapporti, e ai favori fatti e ricevuti, avrebbe viaggiato in Italia e all’ estero (Europa, Americhe, Caraibi) non pagando una lira di tasca sua“. La Francescato aveva come alternativa Marco Boato detto “er bozza“, un garantista di ferro fin troppo apprezzato dal Foglio. E arriviamo al tocco di drammatico in quest’atmosfera surreale: dentro Rifondazione si vive qualche ripensamento a proposito delle giunte nelle quali governa insieme al PD. Potrebbe rompere l’alleanza su tutta la linea, anche locale. Giusto per dare un segnale politico forte. Ora, riconsiderate tutto quello che ho detto dall’inizio, e ditemi la verità: a voi questi sembrano normali? Oppure ha ragione chi dice “Falce e macello”?

Nel frattempo, Leonardo scrive un post sulla Fallaci da togliersi il cappello, dotato di un finale fantastico: “Riposa in pace. Un giorno voglio andare a sussurrarlo sulla tua tomba. Solo per tendere l’orecchio e sentire che dallo sdegno ti rivolti. Vecchia stronza, beh, sì – un po’ mi manchi“. Il governo viene battuto in aula sul decreto Milleproroghe per colpa dell’Mpa e della Lega. Francesco Giavazzi, con la sua solita causticità, demolisce la governance duale in riferimento a Piazzetta Cuccia, e chiude così: “Che cosa c’entra con tutto questo la politica? Probabilmente nulla. Tranne se da domani la nuova Mediobanca cominciasse a partecipare a operazioni giustificate da un supposto «interesse nazionale», come il salvataggio di Alitalia, anziché dall’interesse dei suoi azionisti, in primis dei risparmiatori che hanno investito nella banca“. Felici di non essere dei visionari. E, sempre a proposito della meravigliosa Alitalia, ecco a voi l’ennesimo articolo in cui si descrive la nuova cordata. Ma il pezzo comincia dicendo che forse il piano industriale di Air France non sarebbe potuto andare in porto: excusatio non petita? Comunque: “Ai nomi già circolati (Benetton, Riva, Marcegaglia, Aponte, Fossati e Ligresti) si potrebbero aggiungere due banche d’affari come la Morgan Stanley e Nomura e due fondi di private equity (Equinox e Clessidra). Intesa — se richiesta — con tutta probabilità sottoscriverà anch’essa il 10% del capitale“. Toto, ed è questa la notizia, potrebbe decidere di vendere Air One alla cordata per euro 300 milioni diconsi 300 milioni. Diciamolo: se andasse così, bisognerebbe girarne un altro, di film sugli “audaci colpi dei soliti ignoti“.

Vignetta di Artefatti

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