(L'opinione) Ha ragione Taradash: il convegno di Montesilvano ha testimoniato che è grande l’ansia di partecipazione politica dei liberali nel PdL. Il loro entusiasmo non è stato raffreddato neanche dalle misurate parole di Daniele Capezzone e Benedetto Della Vedova, che hanno esplicitamente messo in guardia i liberali dal distinguersi per la propria identità e provenienza. A dir la verità, ascoltando quelle parole, in molti hanno scosso la testa nel sospetto che fossero motivate, più che da spirito di abnegazione verso gli alti ideali del liberalismo, da un legittimo ma inconfessato interesse personale, ossia dal timore di essere identificati individualmente per il proprio passato, rischiando così di urtare la sensibilità dei conservatori e cattolici di FI (a cui presto, con la nascita del PdL, si sommeranno i post-fascisti), benché in FI tutti facciano a gara a chi è più liberale. Quando Della Vedova ha provato ad argomentare, fuori da ogni logica, che i leader dei moderni partiti post-ideologici trasformano questi stessi indipendentemente dal loro passato e identità, dettandone arbitrariamente (!) la linea politica, nel pubblico qualcuno è sbottato: “Ma da dove diavolo le prendono allora le loro idee, dal cilindro magico?”. Di certo però dobbiamo essere grati a Capezzone e Della Vedova, perché almeno loro hanno il coraggio di esporsi al dibattito. Ci sono altri personaggi, ben più in alto, che dopo essersi vantati per decenni di essere gli unici liberali in Italia, ora non si degnano nemmeno di rivolgere l’attenzione a chi da loro non vorrebbe altro che qualche parola di incoraggiamento.
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