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mercoledì 23 aprile 2008

Volley. Il coach della Scavolini: "In Brasile quelli del calcio lo considerano uno sport per gay".

Angelo Vercesi si racconta: "Tanta fede nelle vittorie".
Il coach della Scavolini ha fatto visita alla redazione pesarese del 'Resto del Carlino' e ha svelato tanti 'segreti' della sua vita e del suo successo. "Mi piace questa attesa. E' solo una carica positiva".

(Beatrice Terenzi - Il Resto del Carlino) Lo scorso anno era il preparatore atletico, quest’anno alla sua prima esperienza da capo allenatore rischia di vincere lo scudetto. Angelo Vercesi, 41 anni, sangue italiano, spirito carioca, estroso e sensibile, è il vero protagonista con la sua esuberanza e umanità di questa Scavolini dei record. E’ venuto a trovarci in redazione, per raccontarci di sé e delle colibrì.

Io e la fede. "Al collo ho sei medagliette, tra cui quelle di Sant’Antonio, San Francesco e la Madonna di Loreto. Una volta al mese vado a Loreto a pregarla e ad accendere un cero. Se vinciamo lo scudetto ci andrò in pellegrinaggio, magari in bici''.

Io e la famiglia. "Siamo rimasti solo io, mia mamma e mia sorella. Mio padre è morto quando avevo nove anni, mio fratello maggiore l’ho perso in un incidente d’auto. Mio nonno materno si chiamava Angelo, quello paterno Anibal. Entrambi emigrati dall’Italia in Brasile. In barca. Io mi chiamo Angelo Anibal Vercesi".

Io e l'Italia. ''Sono venuto per la prima volta in Italia nel 2005. Ho fatto un regalo a mia mamma e a mia sorella, le ho portate a fare un giro di tutte le chiese. A Roma abbiamo avuto la fortuna di vedere da 50 metri Papa Giovanni Paolo II. Mia mamma, che è molto religiosa, stava per svenire dall’emozione''.

Io e il volley. ''Ho iniziato a giocare a calcio, ma il volley è sempre stata la mia vera passione. Anche se in Brasile quelli del calcio lo considerano uno sport per gay. Ho giocato per 18 anni nella stessa squadra, poi ho allenato il San Paolo. Ho conosciuto Zè Roberto come avversario. Lui mi ha chiesto di seguirlo in Nazionale come preparatore atletico e poi in Italia, a Pesaro. Gli devo tutto''.

Io e la panchina. ''Quando quest’anno Zé è stato bloccato dalla federazione brasiliana e la Scavolini si è trovata senza allenatore, la società mi ha chiesto di guidare la squadra. Le prime quattro giornate in panchina è andato Marchesi, io non avevo il patentino. Poi, grazie a Zé, la mia federazione e quella italiana hanno trovato un accordo. Mi hanno dato il patentino da vice e una deroga per fare il primo allenatore. A patto che a fine stagione faccia un corso. Ma se vinco lo scudetto forse non ce ne sarà bisogno''.

Io e la Scavolini. "Alle ragazze ho detto dal primo allenamento: voglio trasparenza. Se c’è un problema, anche piccolo, se ne parla tutti insieme prima che diventi grande. Credo nel lavoro. Ma per lavorare bene non deve pesare".

Io e le vittorie. "Siamo una squadra dentro e fuori dal campo. Vinciamo perché giochiamo divertendoci, col sorriso e con la pazienza. Il volley deve essere vissuto prima di tutto come passione. Il leit-motiv di quest’anno è ‘un punto alla volta’ con serenità''.

Io e la partita. "Mi agito molto, lo so, inseguo i palloni, cerco di aiutare le ragazze. Ma mai una parola contro le avversarie e gli arbitri. E difatti non ho mai preso un’ammonizione''.

Io e la vita. ''Non faccio mai previsioni, vivo giorno dopo giorno, con entusiamo. E con più entusiasmo quando c’è il sole. Perché io vengo dal Brasile''.

Io e l'amore. ''Può capitare che mi innamori di una giocatrice che alleno. E’ già successo con la mia ex palleggiatrice del San Paolo, me la sono pure sposata, siamo stati insieme otto anni. Poi è finita. Ma sul campo le giocatrici le tratto tutte allo stesso modo. Il regalo che vorrei da Pesaro? Trovare una bella donna e metter su famiglia''.

Io e la città. ''Mi piace la grande attesa che si è creata intorno a noi. La gente ora mi riconosce, mi ferma e mi fa i complimenti. E’ molto bello. Il mio benzinaio mi fa: Mister, vinciamo 3-0''.

Io e Scavolini. ''Lui è partito da zero e ha fondato un impero. Ha avuto tanta grinta. Questa società può fare altrettanto, per questo se ne è affezionato. Ma noi non abbiamo preso il posto della pallacanestro. Abbiamo solo aperto un’altra strada''.

Io e Zè. ''La squadra è sua, il posto è suo. Quando tornerà se lo riprenderà. Lui è il maestro. Lui ha una grande tenerezza per Pesaro''.
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Di questa notizia Queerblog ne ha dato un breve e lucidissimo commento che ci sentiamo di sottoscrivere pienamente:
(...) Inutile dire che a molti ragazzi gay la pallavolo è sempre stata preferita rispetto al calcio, anche se non è una regola. Questa preferenza è sempre stata additata dal mondo maschile come una scelta da gay. La realtà ancora più generalizzata è che chiunque non ami giocare a calcio viene additato come possibile omosessuale.

E’ risaputo che questo luogo comune (ma anche no), ancora oggi nelle scuole italiane, è vivo e fervente. Qui, come in Brasile e dovunque la cultura dello sport è troppo concentrata su una disciplina e non sulla sua intera gamma. (...)

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