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domenica 2 marzo 2008

Wilhelm von Gloeden: fotografie, nudi, paesaggi e scene di (ogni) genere.

(Silvia Tomasi - Panorama) Cosa c’è di scandaloso nelle fotografie di nudi maschili del barone Wilhelm von Gloeden (1856-1931), tanto da causare un così forte diverbio fra Vittorio Sgarbi, che le ha volute a tutti i costi in mostra a Milano, e il sindaco Letizia Moratti stanca delle provocazioni del suo assessore alla cultura? La castità sessuale e la pudica naturalezza imbarazzata dei modelli.

“È sorprendente, le sue ingenuità sono grandiose come prodezze” aveva già scritto Roland Barthes nel 1978 in un intervento su von Gloeden presso il gallerista Lucio Amelio, dove Andy Warhol e Joseph Beyus avevano “ritoccato” alcuni nudi del barone tedesco. È inutile dirlo, non c’è niente di più turbativo della commistione fra ingenuità, nudità e bellezza di queste foto all’albumina dai colori grigi, ocra e seppia. L’appeal erotico di questi ragazzi siciliani dagli occhi da fauni ha qualcosa della luminosità sacra e della profanissima pruderie. Occhieggiano da queste immagini pastorelli glabri e nudi, con lisci muscoli non da apollinea statua greca, ma da asciutta natura contadinesca, bruniti di sole e ricoperti con qualche garza alla maniera dei pepli classici, mentre suonano la siringa o lo zufolo, abbelliti da tralci di foglie di viti o acanti.
All’incirca sono 130 gli scatti esposti per questa nutrita retrospettiva su Wilhelm von Gloeden. Fotografie Nudi Paesaggi Scene di genere, questo il titolo della rassegna, curata da Italo Zannier, aperta fino al 24 marzo, nella grande sala del Palazzo della Ragione, dove nel luglio dell’anno scorso aveva trovato spazio l’altra discussa mostra sgarbiana su Arte e Omosessualità. Il catalogo è di Alinari-24 ore.
Von Gloeden voleva creare poesia, luce e bellezza attraverso il mezzo fotografico, idealizzando immagini costruite con un fortissimo richiamo ad un mitizzato purismo classicista: i suoi modelli di giovani o giovanette nudi dovevano trovare il loro corrispettivo nella scultura greco-romana. Ma invece è proprio il difetto stilistico dovuto alla mancanza delle divine proporzioni classiche dei modelli che spesso mostrano le acciaccature della povertà, a toglier dalle foto qualsiasi rigor mortis neoclassico e ugualmente ogni intento pornografico. Sicuramente assente, poi, nelle numerose foto che von Gloeden dedicò al paesaggio siciliano o in quelle, ampiamente rappresentate in mostra, che documentano i disastri del terremoto di Messina.
Ma soprattutto, in von Gloeden, trionfa la magia d’un sogno bucolico, il ritornino all’immaginaria purezza d’un Eden primitivo, perseguita dal barone in questa Taormina incantata dove si è fermato dalla Prussia per motivi di salute e qui ha goduto dell’abbraccio pansessuale mediterraneo. Meno bene è andata dopo la morte dell’artista, avvenuta nel 1931. Gli ideali machisti del fascismo s’andavano imponendo; il compagno di von Gloeden, Pancrazio Bucini detto il Moro, fu arrestato nel 1936 per detenzione di materiale pornografico e dopo il processo distrusse gran parte dei negativi. Una cinquantina di quelle lastre (alcune bellissime e trattate con pigmenti colorati sono presenti in mostra accanto agli scatti in positivo) erano state acquistate dalle collezioni civiche del Castello Sforzesco ed a Sgarbi è apparso “insensato acquistare per i musei cittadini qualcosa che non si intenda o che non sia conveniente esporre”. La qualità della mostra gli dà ragione.

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