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venerdì 28 marzo 2008

Sesso e matematica.

(Le scienze) Nel corso di una conferenza accademica, il rettore della Harvard University Lawrence Summers dichiara che una delle principali ragioni per cui le donne riescono meno degli uomini a raggiungere i massimi livelli della ricerca scientifica è che ci sono meno donne dotate di «capacità innate» per la scienza.
Una dichiarazione provocatoria, che scatena forti reazioni, costringendo Summers a dimettersi dalla presidenza di Harvard, ma che ha il merito di avviare una discussione pubblica sulle differenze intrinseche tra i sessi e la loro responsabilità della scarsa presenza femminile nelle discipline matematiche e scientifiche. Come contributo al dibattito, in queste pagine presentiamo un’analisi del vasto corpus di letteratura scientifica dedicato al tema, da cui emergono informazioni essenziali per capire le differenze tra i sessi e le proposte per attirare più donne nelle professioni scientifiche e matematiche.
Non esiste una risposta univoca o semplice al perché in alcune aree della scienza e della matematica le donne sono molte meno degli uomini. È possibile invece identificare vari fattori che influenzano le scelte professionali, tra cui le differenze cognitive tra i sessi, l’istruzione, le influenze biologiche, gli stereotipi, la discriminazione e i ruoli sociali.
Una ragione per cui il commento di Summers ha infastidito molti è l’implicazione che qualsiasi tentativo di colmare il divario sarebbe inutile. Se la maggior parte delle donne è vittima di una naturale deficienza nelle capacità scientifiche, non c’è molto da fare. Ma in questa interpretazione apparentemente semplice ci sono due vizi di fondo.
Per prima cosa, non esiste alcuna singola capacità intellettuale che possa essere definita «capacità scientifica». (Per semplicità, useremo spesso il termine «scientifico» per riferirci a capacità rilevanti nei campi della scienza e della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica). Gli strumenti necessari per avere successo in campo scientifico comprendono attitudini verbali come quelle necessarie per scrivere articoli complessi e comunicare in modo efficace coi colleghi; attitudini mnemoniche come la capacità di comprendere e ricordare eventi e informazioni complesse; attitudini quantitative nella creazione di modelli matematici e statistici, nonché nella visualizzazione di oggetti, dati e concetti.
In secondo luogo, se pure donne e uomini manifestassero differenze in queste capacità, ciò non vuol dire che si tratti di differenze immutabili. Se l’addestramento e l’esperienza non influissero sullo sviluppo delle nostre capacità accademiche, a che cosa servirebbero le università?
Un aspetto che può disorientare quando si parla di disparità tra i sessi è che si può arrivare a conclusioni molto diverse a seconda di come si sceglie di valutare le abilità. È chiaro che le donne hanno le carte in regola per avere successo nel mondo accademico. A partire dal 1982, rappresentano la maggioranza degli iscritti al college negli Stati Uniti, e da allora il divario rispetto gli uomini ha continuato ad allargarsi (la stessa tendenza si registra in molti altri paesi). Inoltre le donne ricevono in media voti più alti in tutte le materie scolastiche, comprese matematica e scienze.
A dispetto dei successi in aula, però, le donne ottengono punteggi molto più bassi in molti dei test standard per l’ammissione al college e ai corsi post-laurea. La disparità nelle iscrizioni maschili e femminili alle facoltà scientifiche diventa più marcata nei gradi di istruzione più avanzati. Per esempio alla fine degli anni novanta le donne erano il 40 per cento degli studenti di scienza al Massachusetts Institute of Technology, ma soltanto l’8 per cento dei docenti.

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