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venerdì 28 marzo 2008

«Torno a Meno di zero e chiudo con i romanzi» Intervista a Bret Easton Ellis: a 44 anni è già ora di bilanci.

(Alessandra Farkas - Il Corriere della Sera) Sta lavorando al suo nuovo libro, Imperial Bedrooms, in uscita nel 2010: il seguito del suo primissimo romanzo Meno di zero (1985) — la cronaca delle vacanze di Natale del giovane Clay, eroe di un mondo materialista, infarcito di feticci ed estremo — che lo impose, appena ventenne, all'attenzione del grande pubblico. «Penso che questo potrebbe essere il mio ultimo libro, visto che ho esaurito tutte le idee e non ho più lavori nel cassetto», spiega il 44enne Bret Easton Ellis, autore di alcuni dei bestseller più significativi degli anni '80, quando l'autorevole «New York Times » lo ribattezzò «l'enfant terrible delle lettere Usa». La sua ultima fatica nasce dal desiderio di scoprire cosa fanno, oggi a Los Angeles, i personaggi che animavano le pagine di Meno di zero.

Ma non aspettatevi una satira anti hollywoodiana. «Con Glamorama penso di aver già immortalato gli eccessi della Mecca del cinema — racconta —. La cultura di Paris Hilton e Britney Spears oggi non mi interessa più». E, infatti, si è guardato bene volontario».

Ben più doloroso è stato lo sforzo per accettare la morte, nel gennaio 2004, di Michael Wade Kaplan, lo scultore di 10 anni più giovane, forse il più grande amore della sua vita. «Fu stroncato da un ictus mentre tornava nel suo studio di Brooklyn, dopo una visita a casa mia. All'inizio ero certo che fosse colpa della droga, di cui entrambi facevamo uso». Ma il rapporto del medico legale più tardi lo escluse. «I genitori di Michael si arrabbiarono con me quando in un'intervista suggerii l'ipotesi della droga». Nella stessa intervista Ellis rivelò al mondo, per la prima volta, di essere gay. E anche oggi non ama parlare della sua vita privata. «Dirò solo che sono legato alla stessa persona da 10 anni. Ma non si tratta di un rapporto esclusivo e infatti stasera esco con un altro». Che cosa pensa della letteratura gay? «Non so neppure cosa significhi quel termine. Quando vado in libreria noto l'esistenza di una sezione di "gay fiction", ma francamente non ci faccio molta attenzione. Mi piace David Leavitt. Ho letto tutti i suoi libri».
Il suo problema, oggi, è trovare il tempo per leggere ciò che vorrebbe. «Sono pagato dagli studios
hollywoodiani per leggere libri che i produttori vorrebbero adattare per il grande e piccolo schermo — afferma —. In altre parole sono costretto a leggere libri per decidere se possono essere rovinati diventando film». Negli ultimi tempi Ellis lavora praticamente a tempo pieno come sceneggiatore ad Hollywood. «Sono stato ingaggiato dal network tv Showtime per realizzare The Canyons, una nuova telenovela su un gruppo di giovani supereroi che vivono nelle colline sopra Los Angeles. Ci tenevo moltissimo ma purtroppo il progetto è naufragato».

L'insuccesso non l'ha demoralizzato. «La maggior parte delle sceneggiature non vedono mai la luce — spiega —. Conosco sceneggiatori che scrivono e scrivono da oltre 10 anni senza aver visto uno solo dei loro progetti trasformarsi in film». Ellis racconta che l'ultimo «grande romanzo» capitatogli fra le mani è Tree of Smoke di Denis Johnson, mentre l'autore che più lo ha ispirato fu Hemingway. «Avevo 12 o 13 anni e il professore di letteratura ci obbligò a leggere E il sole sorge ancora. Iniziai controvoglia e ne fui talmente folgorato da rileggerlo ben due volte nella stessa notte». Nelle antologie il suo nome oggi appare spesso sotto la voce «Brat Pack», un termine coniato negli anni '80 per designare la nuova avanguardia di scrittori- star della cosiddetta Generazione X (tra cui Jay McInerney e Tama Janowitz) diventati famosi durante l'amministrazione di Ronald Reagan. «I media mitizzarono, ingigantendola, quell'etichetta che odio — si schernisce —. In realtà non fu un vero movimento ma solo un gruppo di amici, tutti giovani e attivi nell'editoria che si ritrovarono a frequentare gli stessi locali. Un momento della storia oggi irripetibile». Come McInerney e la Janowitz, anche lui ha nostalgia di quell'era. «Gli anni '80 avevano una patina luccicante di glamour senza precedenti. Andavamo in giro vestiti come damerini e ci sentivamo belli, ricchi, famosi e immortali ». Quasi 30 anni più tardi ben poco è rimasto di quei gloriosi fasti. Persino le amicizie si sono dissolte. Tanto che in un'intervista al «Corriere» Tama Janowitz si è lamentata perché «Bret va in giro a sparlare alle mie spalle, sostenendo che i miei libri fanno schifo».

«Non ricordo di aver mai affermato nulla di simile in pubblico — si difende lo scrittore —. Non è vero, come dice Tama, che la nostra relazione è entrata in crisi, perché per entrare in crisi avrebbe dovuto esserci un rapporto». L'amicizia con McInerney al contrario non si è mai interrotta. «Ci sentiamo per email tutti i giorni. Adoro i sui libri e penso che sia uno scrittore geniale, oltre ad avere uno dei sensi dell'humour più sottili che conosca ».

Quando il suo bestseller American Psycho uscì in America, nel 1991, McInerney fu tra i pochi a difenderlo. «Gli attacchi violenti contro American Psycho furono causati dal mood ultraconservatore di un'era che metteva al bando i video di Madonna e chiudeva le mostre fotografiche di Robert Mapplethorpe. Fu un libro pionieristico — incalza — mi fecero a pezzi perché con la pretesa di scrivere della mia generazione, ero uscito dalla traiettoria trasformandomi in uno stomachevole Dr. Jekyll-Mr. Hyde. Se lo stesso libro fosse stato pubblicato da un'oscura casa editrice underground nessuno avrebbe fiatato».

Eppure rileggendolo oggi, Ellis confessa di sentirsi «accapponare la pelle». «Vede — si corregge subito —. Quel libro era un'allegoria della mia infanzia in una famiglia apparentemente perfetta che sotto la superficie covava alcolismo, follia e abusi». La violenza come artificio artistico per raggiungere la catarsi finale? «Mi rifiuto di conferire categorie morali alla violenza — ribatte —. L'unica cosa che mi turba enormemente è la violenza esteticamente improbabile. Se il sangue e gli ammazzamenti in un film non risultano autentici mi arrabbio da morire».

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