(Fausta Maria Rigo - Fragmenta) Una cosa di cui pochissimi parlano, proprio perché in genere non se ne sa molto, è l'infibulazione. Tendiamo ad immaginarlo come un problema lontano, assolutamente rimosso dalla nostra realtà. Non è affatto così, in Italia ci sono più di ventimila donne infibulate, questo stando ai numeri ufficiali. Inoltre ci sono molte comunità che la praticano quotidianamente. Il dato sconcertante è che spesso sono proprio le donne a chiederla per non sentirsi indegne o diverse. A Roma c'è un centro che si occupa di questo, è molto conosciuto e si trova all'interno dell'ospedale San Camillo. Ho parlato con la Dottoressa Giovanna Scassellati, che opera in questo e in altri campi come ginecologa. La Dott.ssa Scassellati è molto famosa anche per le sue battaglie a favore della Legge 194 come per le sue infuocate interviste. Le sue risposte, in questo caso, mi hanno lasciata a dir poco stupita, è vero ne sapevo veramente poco.
Mi può spiegare quanti tipi di infibulazione ci sono?
Ci sono quattro tipi di infibulazione, veramente ce ne sono anche di più, in alcuni casi, invece delle incisioni, si usano sostanze come corrosivi. Comunque quando noi parliamo di infibulazione intendiamo il grado tre. Il primo grado che si chiama sunna consiste nella asportazione del clitoride, il grado due si asportano anche le piccole labbra, nel grado tre si asportano piccole e grandi labbra chiudendo tutto. Queste ultime pratiche hanno degli effetti particolarmente negativi perché prevedono l'asportazione di porzioni dove normalmente risiedono ghiandole come quelle di Bartolini. Il tessuto rimane di tipo cicatriziale. L'infibulazione viene praticata da ostetriche o donne anziane dei villaggi. Il problema è che nei villaggi c'è una vera tradizione, le donne non infibulate vengono discriminate.
A che età viene fatta di solito?
L'età cambia in continuazione, diciamo che oramai è una pratica vietata dalle grandi organizzazioni mondiali, quindi in questi paesi lo fanno clandestinamente. Però è una cosa che le donne sanno di dover fare. Una ragazza non infibulata non trova marito, nessuno la vuole, perché la credenza che la donna debba essere infibulata è radicata nei secoli.
Quali sono i problemi più gravi causati dall'infibulazione?
Nel caso del livello tre, la donna è cucita quasi completamente, quindi soffre di grandi disturbi per il trattenimento delle mestruazioni. Inoltre sono frequentissime le infezioni urinarie, possono avere cisti, cheloidi cicatriziali.
Scusi se la interrompo: abbiamo capito che l'infibulazione è la negazione del piacere, ma come fanno, se sono completamente cucite a generare dei figli?
Questo è un problema successivo. Da ragazzine loro devono essere infibulate altrimenti vengono considerate impure. Uno dei motivi si pensa che risalga al tempo in cui la maggior parte delle tribù viveva nuda. L'infibulazione era considerata igienica per le donne. Dava loro la possibilità di non preoccuparsi della sporcizia che poteva entrare, la terra, o la sabbia del deserto ad esempio, è chiaro che questa è un'idea errata, sappiamo benissimo che la vagina è chiusa naturalmente, non ha alcun bisogno di essere cucita. In verità dietro a tutto questo c'è un'idea radicata di controllo della sessualità e della donna come proprietà dell'uomo. Durante i saccheggi che avvengono tra le tribù, avere delle donne infibulate assicura che queste non vengano violentate e che successivamente non generino figli di altri.
Ecco, come fanno queste donne a partorire?
In Italia noi medici abbiamo cominciato ad avere pazienti infibulate attorno agli anni Ottanta. All'inizio le facevamo partorire col parto Cesareo. Poi abbiamo cominciato a chiederci se ci fosse un altro modo: avevamo paura che queste donne, magari tornando in Africa potessero avere difficoltà con i secondi parti, così come può succedere a quelle che hanno subito parti Cesarei. Nei loro paesi si deve essere in grado di partorire più che altro naturalmente dato che di ospedali ce ne sono pochissimi. Tenendo conto che in media gli africani fanno dai cinque ai nove figli. Da qui l'esigenza di trovare una soluzione per fare partorire queste donne nel modo più naturale possibile.
Come è iniziata la sua ricerca in questo campo?
Ho fatto una ricerca su tutto quello che si era fatto, prima in Italia e poi ho cominciato a leggere i testi stranieri. In particolare, ho trovato del materiale interessante su degli studi fatti dal dottor Gordon di Londra. Sono partita e sono andata a verificare di persona. In effetti questo dottore, in un ospedale di Londra, è stato uno dei primi ad accogliere e studiare i casi delle donne infibulate in modo da poterle aiutare. In Inghilterra l'emigrazione africana è iniziata da molti anni e comunque, prima di questa, c'erano le colonie britanniche, quindi questo problema è sentito da tempo. La tesi del dottor Gordon era che a queste donne andava insegnata una modalità di iniziazione differente dall'infibulazione.
Vuole dire che Gordon tentava di sostituire l'infibulazione con una pratica meno truculenta?
Esatto. Il problema è che non era per niente facile. L'idea della menomazione è molto radicata, è sentita in maniera molto forte. Non sarà per niente facile che si smetta totalmente di praticarla. Ricordo che ad un congresso, una donna rivendicò con vigore il diritto a continuare questa pratica su chi la volesse. Disse che lei andava fiera di essere infibulata perché lo era sua madre e sua nonna prima di lei. Per alcune di queste donne riconoscere quanto questa cosa sia sbagliata equivarrebbe ad accettare che la propria madre ha agito male nei loro confronti. Non è facile accettare che tua madre ti abbia fatto consapevolmente una cosa sbagliata, preferiscono negare la realtà. Il cammino è lungo, la maggior parte delle donne africane non conosce la anatomia vera di una vagina, non sanno come sarebbe se non fossero state mutilate. Perché questa cosa viene fatta loro quando sono bambine. Inoltre un altro problema sono gli errori. Questi che praticano l'infibulazione, operano con strumenti di fortuna, lamette sporche ad esempio, che oltre a portare infezioni possono sfuggire di mano e fare un disastro. E infatti questo succede, i risultati sono devastanti quando non sopraggiunge addirittura la morte. Il clitoride è irrorato da un'arteria che si chiama appunto clitoridea. Se questa arteria viene incisa è difficile fermare il flusso, si muore dissanguati. E i casi purtroppo sono tanti.
Nei Paesi occidentali ovviamente questa pratica è vietata, secondo lei c'è gente che infibula clandestinamente?
Guardi, non lo so. Noi non ne abbiamo idea anche se sospettiamo di sì, ovviamente negli ospedali pubblici c'è un controllo massiccio, però chissà cosa succede in alcuni studi privati. Sicuramente ci sono molte comunità che spingono perché questa cosa venga accettata in Italia. Mi pare che a Firenze un ginecologo somalo avesse proposto di sostituire questo rito con una iniziazione fatta con una iniezione di liquido fisiologico. Per me è una totale sciocchezza, una cosa comunque inaccettabile.
Ci sono donne infibulate che chiedono di essere operate per tornare ad una normale funzionalità del loro corpo?
Certo, soprattutto quelle che, essendo completamente cucite, non riescono ad avere nessun rapporto. Un po' di tempo fa ho avuto una paziente che era addirittura una dottoressa. Ultimamente le mie pazienti, anche essendo chiuse, hanno ancora il clitoride, evidentemente si tende a non menomarle completamente, ma forse è soltanto perché, come le ho detto, è molto rischioso asportare il clitoride non essendo medici e non avendo attrezzature adatte. Quello che nessun medico italiano fa, è richiuderle dopo i parti, sono moltissime le donne africane che lo chiedono. Noi non possiamo, né vogliamo farlo, eppure non è facile convincerle di quanto sia dannoso.
Tra l'altro, le donne infibulate dovrebbero essere aperte molto prima del parto, diciamo alcuni mesi prima, per evitare una infinità di problemi legati anche al cambiamento di dimensioni dell'utero, oltre a quelli di una ferita aperta così grande. Sarebbe meglio partorire con la ferita già rimarginata. Noi consigliamo sempre loro di operarsi prima, ma solo di rado lo fanno, e così rischiano anche la vita.
Quindi questo è un problema profondamente culturale.
Esatto, calcoli che i dati ufficiali parlano di diciannovemila donne in questo stato in Italia, invece i numeri sono di gran lunga più alti. Il problema non è affatto da sottovalutare. Per adesso Roma e Firenze hanno dei centri che si occupano, prima di tutto, di informare queste donne e di aiutarle a decidere come vivere soprattutto la gravidanza. Quello che dico è che ce ne dovrebbero essere molti di più, come minimo in ogni regione italiana, come avviene negli altri Paesi. Noi abbiamo, oltre ai ginecologi, psicologi e assistenti sociali che lavorano con noi.
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