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domenica 10 febbraio 2008

I campi di lavoro per "redimere" i gay furono un'invenzione di Che Guevara.

(Pupazzi) Quando nel 2004 Bernal interpretò il Comandante Guevara ne “I Diari della motocicletta”, anche chi di noi aveva guardato con più sospetto al mito di tanti giovani, rischiò seriamente, e per evidenti motivi, di innamorarsene. Quel film coglieva un momento esaltante della vita del “Che”, che assumeva tratti eroici addirittura quasi cristiani.

C’è dell’altro, però, nella rocambolesca storia di Ernesto Guevara e, con tutti i limiti di una ricerca condotta sulle libere e molteplici pagine di internet, ho cercato di approfondire un tema che, seppur spesso taciuto, è piuttosto noto e cioè la persecuzione sistematica degli omosessuali realizzata dal grande liberatore, il “Che”.

E’ una storia che in pochi raccontano e che le stesse associazioni omosessuali solo a tratti hanno avuto voglia di sottolineare, perché stona con una certa idea di sinistra militante amica che, ahimè, nella storia si è spesso scontrata con una realtà di oppressione altrettanto atroce di quella esercitata dalle dittature di destra.

Con il passaggio di poteri da Batista a Castro, nel 1959, Ernesto Guevara assunse un ruolo di assoluto primo piano nel regime e venne nominato provvisoriamente Procuratore Militare con il compito di reprimere gli oppositori della rivoluzione.

Nelle maglie dei Tribunali finiscono per sua espressa volontà molti religiosi, tra cui lo stesso Arcivescovo de L’Avana, e moltissimi “maricones” cioè omosessuali. Guevara elabora una sorta di piano di razionalizzazione delle carceri, decidendo di specializzarne alcune nella rieducazione dei gay, tra i quali si contano innumerevoli artisti cubani. Il “Che” realizza campi di lavori forzati ed elabora personalmente i regolamenti penitenziari, che fissano le punizioni corporali per i più facinorosi: taglio dell’erba con i denti, immersione nei pozzi di raccolta dei liquami di fogna, lavori agricoli eseguiti nudi.

E’ su questi regolamenti che nascono le “Unità Militari per l’Aiuto alla produzione”, dei veri e propri lager, tra cui la “Nueva Carceral de la Habana del Est”, che ospita gli omosessuali, riconosciuti anche solo tramite delazione. Secondo le descrizioni che alcuni dissidenti hanno dato di queste prigioni i detenuti erano stipati in celle di 6 metri per 5 nelle quali venivano montate 22 brandine, ciascuna occupata da due detenuti. Venne persino realizzato un campo di rieducazione per i gay tra i 12 ed i 15 anni, allontanati dalle scuole per evitare contaminazioni della nascente gioventù rivoluzionaria.

Un noto poeta cubano omosessuale, Reinaldo Arenas, subì l’esperienza del carcere sotto la dittatura castrista, erede di questo sistema elaborato da Guevara, nel corso degli anni ’70. Ne racconta l’esperienza un film che ha avuto un certo successo nel 2000 “Before night falls”. Particolarmente agghiacciante è il ricordo della espulsione esemplare compiuta nelle scuole cubane nei confronti dei giovani scoperti a commettere atti omosessuali. Fatti loro raccogliere i propri oggetti personali, dovevano sfilare dinanzi ai propri compagni, che erano spronati a picchiarli ed offenderli, quindi venivano portati nei campi.

Arenas è poi porto suicida nel 1990, dopo lunghi anni di Aids. Nella sua lettera di addio scrive: “Voglio incoraggiare il popolo cubano in esilio o ancora sull’Isola a continuare a lottare per la libertà. Cuba sarà libera. Io lo sono già”.

Perché è così difficile sentir parlare di questo disumano Ernesto Guevara? Su internet alcuni reduci raccontano dei “maricones” uccisi personalmente, con colpi di pistola alla tempia, dal grande “Che”, ma se poi si leggono le sue biografie ufficiali di tutto ciò non resta traccia. Persino la libera Wikipedia glissa sul tema e afferma, con grande distacco, che esistono giornalisti e storici che hanno sostenuto che egli abbia avuto un ruolo nella creazione del sistema carcerario cubano e nulla aggiunge invece sulle atrocità di cui quel sistema si è reso protagonista anche contro i gay.

Soltanto di recente il regime castrista, pur non avendo abolito l’articolo 303 del codice penale che proibisce le manifestazioni pubbliche dell’omosessualità, appare ammorbidito nei toni nei confronti del tema gay, ma molti ritengono si tratti di un maquillage effettuato per intenti di buona pubblicità.

Di molto altro ci sono soltanto “rumors” (si parla di campi di raccolta delle persone sieropositive, realizzati negli anni’80 e ’90), che non potranno trovare conferme o smentite prima della fine della dittatura. Per il momento direi che è il caso di dimenticarsi il “Che” Bernal, e di goderselo nei film di Almodovar.

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1 commento:

clausneghe ha detto...

Bellissimo esauriente scomodo ma vero articolo.
Complimenti.
Altri commenti li ho lasciati su Fai Inf.
ciao,clausneghe