Roma, 18 set (Velino) - “Meglio essere fascisti che froci”, esclamò nel marzo dello scorso anno Alessandra Mussolini nel corso di una puntata di Porta a porta. Ma che succede quando le due condizioni coincidono? Da questa domanda muove la ricerca di Marco Fraquelli autore del libro Omosessuali di destra (Rubbettino) in uscita in questi giorni. Un volume che presenta una carrellata di personaggi e accadimenti storici che in qualche modo hanno avuto come protagonista l’omosessualità. Figure e vicende che riguardano la destra (radicale e non) dall’avvento del nazismo fino ai nostri giorni. Viene portato alla luce, così, un mondo che ha fatto dell’omofobia e del machismo uno degli assi portanti del proprio credo e della propria azione politica, ma che nel contempo ha ospitato diverse personalità omosessuali di spicco. Di vaste proporzioni, ad esempio, è stata la presenza gay all’interno delle organizzazioni militari e politiche del regime nazista. Omosessuale dichiarato era Ernst Rohm, figura fondamentale nella nascita del movimento delle camice brune e leader delle famigerate SA. Del resto la Germania del primo Novecento rappresentò la culla dei primi movimenti di liberazione omosessuale. Nella sola Berlino, all’inizio degli anni Trenta, poco prima dell’avvento del nazismo, si contavano 130 bar omosessuali, trenta periodici gay di cui tre settimanali, e poi riviste, studi, associazioni…Argomentazioni a sfondo omosessuale servirono anche come pretesto per eccidi politici e regolamenti di conti interni al regime nazista, come accadde il 29-30 giugno 1934 nella Notte dei lunghi coltelli che portò all’eliminazione delle SA di Rohm e il 9-10 novembre 1938 in quella che fu definita la Notte dei cristalli.
E in Italia? “A differenza del nazismo - scrive Fraquelli - il fascismo italiano non si è mai segnalato per intrecci con il tema dell’omosessualità”. Forse anche perché la storiografia non ha ancora indagato a fondo sull’argomento. Di certo l’atteggiamento del regime in camicia nera oscillò tra repressione e noncuranza. In modo particolare Fraquelli sottolinea l’ipocrisia fascista per cui non fu l’omosessualità di per sé a essere condannata, ma gli atteggiamenti vistosi e femminei che la contraddistinguevano: insomma, al regime mussoliniano premeva che fossero preservate le sembianza di mascolinità. Ipocrisia riscontrabile nel Codice Rocco che decise di cancellare, tra le offese al pudore penalmente perseguibili, le relazioni omosessuali solamente perché punirle avrebbe potuto significare agli occhi degli stranieri che in Italia la pratica fosse talmente diffusa da richiedere l’intervento della legge. Diverse pagine del libro sono dedicate all’impresa di Gabriele D’Annunzio a Fiume, azione affine e assimilabile all’epopea fascista, dove “più che atmosfere guerriere e virili, sembrano dominare atmosfere languide, mollezze e sensualità”, con amori omosessuali tra giovani legionari conditi da fiumi di cocaina.
La parte centrale del volume è quindi dedicata a figure omosessuali emblematiche della destra internazionale. A cominciare dall’intellettuale francese Robert Brasillach, antisemita, nazionalista, collaboratore della Germania nazista all’epoca di Vichy e per questa ragione fucilato nel 1945. Ancora oggi omaggiato dagli ambienti neofascisti che si recano in pellegrinaggio sulla sua tomba parigina, Brasillach aveva simpatizzato per il regime nazista anche perché affascinato dalla virilità e dalla bellezza degli occupanti ariani. Fraquelli racconta quindi la vicenda di Michael Kuhnen, leader incontrastato del neonazismo tedesco tra la fine degli anni Settanta e il 1991, quando morì di Aids a trentasei anni. Kuhnen fu l’autore dell’opuscolo Nazionalsocialismo e Omosessualità nel quale teorizzò l’uguaglianza tra omosessuali e eterosessuali, anzi la supremazia dei primi sui secondi, specificandone il ruolo avanguardistico all’interno della società e della cultura. Un testo che inevitabilmente creò polemiche e scissioni all’interno del movimento neonazista. Si ricostruisce la vicenda del francese Michel Caignet, principale sostenitore delle teorie negazioniste, nonché editore di riviste gay che negli anni Novanta presero una deriva pedo-pornografica e i cui proventi illeciti servirono a finanziare l’attività politica dei neofascisti transalpini. Un capitolo è dedicato al giapponese Mishima Yukio, più volte candidato al Nobel per la letteratura, suicidatosi con il rituale dell’harakiri nel 1970. Mishima, autore cult per la destra di mezzo mondo per il suo ultraconservatorismo e ultranazionalismo, fu protagonista di una discussa relazione omosessuale segreta con lo scrittore Fukushima Jiro.
Nell’ultimo capitolo Fraquelli rievoca l’omicidio, nel 1969, del dodicenne Ermanno Lavorini, unica vicenda nell’Italia del dopoguerra che vide la commistione tra ambienti politici di estrema destra e mondo omosessuale. Sostenitrici di una rigida politica omofobica, né il Msi né le varie formazioni italiane della destra radicale hanno annoverato tra le proprie fila personalità ambigue come Kuhnen o Caignet. Nel nostro paese, insomma, il binomio Destra/virilità, scrive l’autore, è “assolutamente certificato e imprescindibile”. In epoca più recente, qualcosa si è mosso nell’area vicino ad Alleanza nazionale con la nascita di GayLib, l’associazione nazionale degli omosessuali liberaldemocratici e di centrodestra diretta da Enrico Oliari, militante di An. In uno scenario internazionale come quello odierno, contrassegnato da piccoli scandali da tabloid e outing da parte di esponenti politici omosessuali d’area conservatrice, va rilevata l’apertura al mondo gay proveniente da Israele. La prima unità di intelligence dell’esercito israeliano, la 8200, è per la maggior parte costituita da soldati dichiaratamente omosessuali. Tanto che a Tel Aviv la strada Glilot dove si trova la base della 8200 è stata ribattezzata Gaylilot e in occasione della festa del Purim i militari della base, indossando parrucche e tacchi a spillo, eleggono la Miss 8200.
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