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lunedì 24 settembre 2007

Malattie, reddito, vizi quanti segreti in ufficio.

(Elsa Vinci - La Repubblica) ROMA - Vincenzo, dipendente di una grossa società di Frosinone, aveva preso tre settimane di malattia, con certificati del pronto soccorso e del medico curante, per una lombosciatalgia. Solo che il datore di lavoro lo ha fatto pedinare per quindici giorni da detective privati assoldati per spiare i dipendenti, e ha scoperto che Vincenzo guidava la macchina, si chinava per aprire la saracinesca del garage di casa, portava le buste della spesa, e la sera andava ad animare un club privè gestito da sua moglie a da poco inaugurato. Vincenzo ha perso il posto, ma il motivo lo sanno in pochi, il padrone, qualche collega, i parenti, un paio di amici e gli avvocati che hanno cercato, senza successo, di farlo reintegrare. Se la microriforma sulla privacy contenuta nel decreto Bersati dovesse passare al Senato, la sua azienda potrebbe distribuire il suo curriculum con macchia ad altre imprese. Che lo escluderebbero.
La Cassazione ha ingolfato il Massimario sul diritto alla privacy dei dipendenti di aziende pubbliche e private: vietando lo spionaggio persino dei fannulloni e degli assenteisti. Quest'anno ha reintegrato un dipendente dell'Eni, controllato in un garage con telecamere a circuito chiuso. Ma l'impresa allunga lo sguardo indiscreto nella posta elettronica, si insinua nelle passeggiate on line degli impiegati al lavoro con internet. Le condanne della Suprema Corte e le sanzioni del ufficio del Garante non frenano quella che il presidente dell'Authority, Francesco Pizzetti, nell'ultima relazione al Parlamento ha definito "bulimia da raccolta dati".

Il reddito, il titolo di studio, le attitudini professionali e personali, le gravidanze, le malattie invalidanti, sono solo alcuni dei dati custoditi nell'archivio di ogni datore di lavoro. Il Garante ha annunciato per il 2008 un provvedimento che disciplini la gestione delle banche dati. Intanto ci sono imprese che si rivolgono all'Authority per chiedere se è possibile installare le telecamere in bagno, oppure come i Semolifici Andriesi, con appena diciannove dipendenti, per sapere se è possibile prelevare le impronte digitali dei lavoratori per certificarne la presenza. L'ufficio del Garante ha suggerito di utilizzare il classico capoturno.
Il prelievo delle impronte digitali non è quel che si dice una rarità. Lo scorso anno è stato vietato a un'azienda di costruzioni con 300 dipendenti. Sul trattamento dei dati biometrici, Pizzetti annuncia lavori in corso. L'Authority denuncia da tempo che ci sono banche, grandi alberghi, industrie sedotte dall'idea di regolare gli ingressi al lavoro fotografando l'iride, unica, irripetibile, assolutamente personale.
Il caso degli operai della Luxottica e della Safilo ha fatto discutere: tuta senza tasche e marsupio trasparente imposti per scongiurare i furti nei reparti produttivi. Alla Telecom spiavano i dipendenti per scoprire non solo se si dedicavano allo spionaggio industriale ma pure per catalogarne le abitudini.
C'è chi è stato cacciato soltanto per aver parlato male del capo. Un operaio della Mdj di Termoli è stato reintegrato dal giudice di Larino perché il suo licenziamento sarebbe avvenuto in seguito allo spionaggio di due professionisti del settore travestiti da lavoratori interinali. E c'è chi è stato messo alla porta perché gay. La Cassazione con la sentenza 14390 ha vietato di utilizzare i dati sensibili per i provvedimenti disciplinari e nel sancire l'ingiustizia subita da un omosessuale ha sottolineato che in questi casi la "tutela dei dati appartenenti alla species dei supersensibili riceve una tutela rafforzata in ragione dei valori costituzionali".

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