Il VII congresso di Rifondazione comunista si chiude con spaccatura netta.
Otto voti di scarto incoronano l'ex ministro. Aria di una nuova scissione.
Il nuovo leader: "Ha vinto una coalizione politica. Rilancio il partito dal basso e da sinistra". Il governatore della Puglia: "Un grosso errore. Così finisce questo partito".
(Claudio Fusani - La Repubblica) Paolo Ferrero diventa segretario di Rifondazione comunista con otto voti di vantaggio (142 sì, 134 no), davanti a una sala con i pugni alzati che intona "Bandiera Rossa", spaccando il partito e lasciando macerie. Nichi Vendola e i bertinottiani, da sempre la maggioranza, sono sconfitti con il 47,7 per cento dei delegati. "Questa scelta è un grave errore, il partito diventa un guazzabuglio" dice il governatore della Puglia. E annuncia: "Noi non ce ne andiamo, continuiamo la nostra battaglia, non ci sarà scissione ma non entriamo in segreteria". Nasce l'area "Rifondazione da sinistra".
Il VII congresso di RC, quello che in un modo o nell'altro doveva lasciare il segno nella storia del partito che più di tutti ha perso le elezioni, è raccontato da numeri e alcune istantanee: cinque mozioni; quattro giorni di liti e accuse furibonde; due mesi di recriminazioni e tiri mancini; riunioni notturne e agguati; i dieci minuti di applausi per Bertinotti e la speranza lunga un pugno di ore di una ricomposizione; i cori "Bella ciao" e "Bandiera rossa" urlati da una parte come se fossero di quella sola invece che di tutti. Un delegato anziano, di Firenze, che ancora poche ore prima dello sfacelo prende per un braccio Gennaro Migliore e Paolo Ferrero, li mette uno di fronte all'altro, e li prega: "Smettete di litigare, che ci avete fatto piangere". L'ex cossuttiano Claudio Grassi, per giorni l'uomo della mediazione che ancora ieri diceva, dal palco: "Nichi, Paolo, parlatevi perché se Rifondazione si divide in due, Rifondazione finisce". Non si sono parlati. Non a sufficienza.
Momenti e situazioni che difficilmente saranno superati e digeriti. Come la votazione, oggi all'ora di pranzo, dei due documenti contrapposti avvenuta con chiamata nominale: per tre ore i 646 "compagni" e "compagne" che non si fidano più l'uno dell'altro, sono sfilati davanti al microfono per dire nome, cognome e numero del documento votato. Qualcosa di surreale. Esercizio di democrazia, si dirà. Poteva immaginare Rifondazione di arrivare a questo?
La squadra vincente. Ha vinto, alla fine, Ferrero, arrivato qui col 40 per cento dei voti. E' riuscito a ribaltare storia, numeri, tradizione e prospettive di un partito diventato "verticistico e leaderistico". Lui, invece, che è stato l'unico ministro di Rc nel governo Prodi, è l'uomo della ripartenza "dal basso, a sinistra", che non parla col Pd, di lotta dura e pura e non di governo, che fa della lotta di classe e dell'anticapitalismo i cardini del programma e giudica "l'unità a sinistra" il più grave errore degli ultimi anni. Insieme a lui, per mettere insieme il 50,5 per cento, un gruppo di trotzkisti e di duri e puri della falce e del martello; Ramon Mantovani "nostalgico del partito del '95 che non ha espulso Nichi"; il giovane Maurizio Acerbo, ex deputato dell'Unione; il cossuttiano Claudio Grassi, che fino all'ultimo ha cercato una mediazione, e Giovanni Russo Spena, capogruppo al Senato nel governo Prodi. Curioso destino: Russo Spena e Ferrero sono ex di Democrazia proletaria. Chi si rivede, vent'anni dopo.
Il segretario incoronato. E' stanco Ferrero. E preoccupato. Fedele al principio "prima la linea politica, poi il leader", è diventato candidato alla segreteria poche ore prima del voto, dopo un tormentone durato giorni e solo perché indicato dai suoi nel Cpn, il parlamentino del partito. Precisa che "il congresso è stato vinto da una coalizione che ha un accordo su una base politica basata su tre elementi: Rifondazione c'è oggi e domani; rilancio di un'opposizione sociale al governo Berlusconi e maggiore autonomia dal Pd anche se non usciremo dalle giunte locali". Non è vero che "siamo un fortino" e "staremo più col popolo e meno in tv".
Vendola: "Questa è la fine del partito". Il governatore della Puglia lascia il congresso prima che la conta finisca. Dopo un giorno di speculazioni sulla sua rinuncia alla segreteria, rilanciate fin dalla mattina da quelli dell'area Ferrero, Vendola resta candidato fino alla riunione del Comitato politico nazionale, il parlamentino che vota il segretario. Solo in quella sede, alle 18, con i numeri nero su bianco, si ritira. Annuncia che i suoi voteranno contro Ferrero e che non entreranno in segreteria "per evitare qualsiasi compromissione con una linea che non ha il fiato per risollevare la sinistra". E' stata, dice, una battaglia "importante, appassionata e durissima". Per la sinistra "non è un colpo mortale ma una battuta d'arresto. Noi non abbandoniamo questa battaglia".
Prima della votazione dei due documenti - 1 per Ferrero-Russo Spena; 2 per Vendola-Migliore - il governatore era stato ancora più duro. E sanguigno. "Sono sconfitto ma sereno - aveva detto - Considero questo congresso il compimento della sconfitta politica di aprile, la ratifica di un arretramento culturale perché ho sentito cose di una volgarità straordinaria, ben oltre la decenza e la fine del partito della Rifondazione comunista". Poi, per mettere a tacere voci di una scissione, "noi, con il nostro 47,7 per cento, non ce ne andiamo, stiamo qua a costruire la nostra battaglia". Quella che vince oggi, precisa, è "una maggioranza ricreata con alchimie".
La notte dei lunghi coltelli. Il dramma politico dentro Rifondazione diventa irrecuperabile nella notte tra sabato e domenica, riunioni e incontri fino all'alba per cercare una mediazione a cui però vengono chiuse tutte le porte. Viene bocciata in Commisione Statuto l'idea del Pesidente del partito da affiancare al segretario, due cariche per due anime. Finisce male l'incontro Bertinotti-Grassi. Ancora peggio in Commissione politica, sempre di notte, dove Gennaro Migliore (mozione 2) si presenta con un documento di possibile mediazione ma si trova solo davanti una situazione già predefinita: Ferrero ha riunito in un solo documento altre due posizioni, Pegolo-Giannini (documento 3, "per rilanciare il conflitto sociale") e Bellotti (mozione 4, "per la falce e il martello"). Sommando minoranze, la maggioranza Vendola finisce sotto. Un colpo di scena. Sono le tre di notte. Finiscono adesso quasi tutte le speranze.
Mascia: "Vi prendete un simbolo ma buttate un partito". Le tensioni della notte si replicano in mattinata, nell'assemblea che deve votare le mozioni. Restano due soli documenti. Il primo lo legge Giovanni Russo Spena (1-3-4): dice "no alla Costituente di sinistra", "no a qualsiasi alleanza con il Pd", parla di "ricostruzione dal basso e da sinistra", di "lotta di classe e al capitalismo", di "lanciare nuovi referendum sul sociale", soprattutto che la nuova Rifondazione "dovrà decidere non da posizioni di vertice ma in nome del pluralismo interno". Qualche fischio, molti applausi, sala divisa come sempre. Poi prende la parola Graziella Mascia, per la piattaforma 2. E si arriva a un passo dalla rissa. "Nel documento appena letto - contesta Mascia - ci sono cose molto gravi rispetto alla storia di Rifondazione. La mozione 2 (Vendola ndr) presenta un altro documento e afferma che in questo congresso si è impedito di cercare una soluzione unitaria. Sapete, si può tenere il simbolo di un partito e insieme buttarne via la storia". Fischi, applausi, cori, due distinte tifoserie.
Il congresso finisce così. Cosa succede adesso a sinistra del Pd è domanda difficile. Di sicuro oltre a Sinistra democratica di Mussi e Fava, c'è un gruppo di Verdi che fanno capo allo sconfitto Marco Boato e a un pugno di socialisti. E c'è l'area "Rifondazione da sinistra": la guida Vendola, Bertinotti darà più che una mano, ha molti giovani (Migliore, De Palma, De Cristoforo, Fratoianni) e donne lucide e agguerrite (Deiana). Farà sentire la sua voce e il suo peso. Andrà in piazza molto presto. Avrà gli artigli. E non solo quelle poesie così citate e così dileggiate durante il congresso.
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