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lunedì 24 dicembre 2007

Italiani brava gente? Non ora, non oggi, non sempre.

(Sabrina Bergamini - Imgpress) Saranno forse depressi, saranno antipolitici per istinto o per vocazione, saranno menefreghisti per spirito di conservazione, saranno disillusi per spirito di contestazione, saranno pavidi con i forti e forti con i deboli o alla ricerca dell’uomo forte con il sorriso stirato e pseudogiovanile che li prenda per mano sollevandoli dal peso delle decisioni e della responsabilità collettiva. Ma sono, e questo sta diventando purtroppo una certezza, anche altro: sono un po’ più razzisti, alla faccia degli “italiani brava gente” che erano (eravamo) soliti raccontarsi. Non dappertutto, non sempre, non necessariamente in maggioranza. Ma i segnali che arrivano da certe dichiarazioni e da certe cronache che rimbalzano sulle pagine nazionali raccontano di un’Italia che volge pericolosamente all’intolleranza. E così, in quel di Treviso, accade che l’amministrazione leghista sfratti la comunità musulmana in preghiera da un centro sportivo messo a disposizione da un imprenditore locale e costringa i fedeli a stendere i tappeti per la preghiera in un parcheggio, davanti a una fila di automobili in sosta e a un paio di cartelloni pubblicitari. Democrazia in salsa padano-veneta ammantata di ipocrita legalismo. Ed è solo l’ultima di una lunga serie di atti e dichiarazioni xenofobe e islamofobe di cui la Lega si sta facendo portavoce nel silenzio generale delle società civile, se è vero quanto riporta l’editoriale del giornale locale “La Tribuna” citato sulla Repubblica: “Ciò che stupisce è che pochi, pochissimi, nella cosiddetta società civile, anche di fronte alle manifestazioni più brutali e vergognose di intolleranza, fanno sentire la loro voce”. Quale futuro ha un Paese arroccato su se stesso che attacca una comunità in preghiera per il solo fatto che la preghiera non è quella di Natale? Quale futuro ha un Paese che accetta similitudini naziste contro gli immigrati, che aizza la guerra fra poveri, che vede lo straniero solo come un pericolo e che di volta in volta cerca un “nemico” da attaccare per garantirsi un facile appiglio agli istinti della pancia? C’è da chiedersi quale identità potrà mai rivendicare, o meglio di quale identità potrà truccarsi il volto un Paese che brandisce l’identità come un monolite da giocare contro tutto quello che non è compreso nei confini di un rigido standard fittizio – e dunque “fuori tutti”: italiani di colore, musulmani in blocco, gay e lesbiche e trans e “omofans”, famiglie allargate e felici, cattolici che credono nell’uguaglianza e nella fratellanza, atei devoti alla Costituzione e alla libertà di religione, puri in spirito e spiriti liberi. In tempi natalizi e alla vigilia di un nuovo anno, non basta sventolare il commento del New York Times e dividersi fra sostenitori delle italiche virtù e affossatori dello spirito d’Italia come se si trattasse di un derby di calcio in cui il tifoso non è (e non deve essere) sportivo per vocazione. Niente lamenti, né indifferenza. Ma solo la consapevolezza che troppe sono le divisioni artificiali, gli steccati e i muri e le divisioni ideologiche che stanno chiamando a nuove crociate fra un “noi” e un “loro” – dove gli altri sono, di volta in volta e a seconda del discorso, i musulmani, gli immigrati, le donne, i gay, i disoccupati, i bamboccioni, gli avversari sportivi e quelli politici. L’Italia forse non è depressa come ci raccontano. Ma non è neanche nobile come talvolta si racconta.

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