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mercoledì 14 maggio 2008

Roma. Alemanno o il ribaltone culturale?

(Pietrangelo Buttafuoco - Il Foglio) Altro che Auditorium. Attendonsi i telefonini bianchi, saranno i feticci della nuova voga culturale, figli diretti di quei Telefoni bianchi, quelli che furono il vanto della Cinecittà dorata.

Altro che Estate Romana. Attendonsi proprio i telefonini bianchi, quelli che faranno il genere e l'ordinaria didascalia della stagione in corso d'opera, quella che dalla presa di Roma con Gianni Alemanno riscalda la vera svolta: il ribaltone culturale. E attendonsi con il cinema dei Telefonini bianchi il Trio Bermuda in gran spolvero, quel triangolo della rivalsa cinematografica oggi diventata fondamentale cupola della tendenza, quella che risponde ai nomi di Luca Barbareschi, Renzo Martinelli e Pasquale Squitieri.

Telefonini bianchi e però attrezzati di ogni gadget rivendicazionista: dall'Antimontalbano di Barbareschi al Barbarossa di Martinelli, ai mille lampi di genio del nostro caro Pasquale. Altro che i Littoriali, sarà l'Arci del Popolo delle Libertà. Tutto quello che non s'è potuto realizzare prima a causa del Minculpop democratico si farà di gran corsa e con gran carriere da destinare al successo, quello buono per tutte le stagioni.

Perché tanto per cominciare resta sempre aperto il conto con l'egemonia culturale della sinistra e i telefonini bianchi, infatti, saranno nemesi tra gli attici e le terrazze della Roma alto borghese, l'unica resa dei conti possibile con il ceto dei colti prima che i soliti intellettuali tra le due bandiere tornino ai Colli Fatali ma, tanto, si sa: a Sean Penn si preferirà comunque un Caimano qualsiasi.

Altro che impegno, altro che apertitivo. Attendonsi i telefonini bianchi del cinema e della cultura mentre il solo Dagospia tiene alta la bandiera della Resistenza, ora e sempre contro Alemanno. Solo Roberto D'Agostino, infatti, si sottrae al gioco del grande inciucio ma tutta la città - compreso il Gay Village, tendenza lib, figurarsi i gloriosi circoli del dopolavoro abbiente - si sta accomodando.

Altro che neorealismo. Attendonsi perciò i telefonini bianchi e con questi anche i manganelli innervati al modo di godemiche per tutti quelli che dal Ministero dei Beni Culturali, sicuri dell'arrivo del Cavaliere, contavano di trasferirsi al Comune di Roma e che adesso sono proprio spaesati: pensano solo ai manganelli. Non sanno quali farfalle andare ad acchiappare sotto l'Arco di Tito, poveri figli, ma le caselle dovranno essere riempite lo stesso e la magnifica regalità dei tempi nuovi saprà amministrare la scienza della cultura.

Divertimento e lustro intellettuale non mancheranno all'appello della civiltà dei modi con consueto bacio della pantofola al sindaco, un atto d'affetto consumato da divertiti e lustri intellettuali va da sé perché Roma con le sue troupe, le sue tivù e i suoi finanziamenti alle muse è la più potente macchina editoriale d'Italia e poi sì, siamo tutti uomini di mondo.

Altro che promozione delle arti espressive. Attendonsi telefonini bianchi a prova d'intercettazione. Della famosa telefonata registrata tra Agostino Saccà e Silvio Berlusconi, quella delle ragazze da sistemare in qualche filmaccio, al netto della furia dei magistrati ebbe un ben magro risultato: l'unica ad ottenere il contratto fu la fidanzata di un collaboratore stretto stretto di Walter Veltroni (magari uno di quelli oggi nominato parlamentare, chissà).

Ma finirà così. Finirà che anche la destra avrà i suoi Fagiano Fagiani. Tutto ciò malgrado il lavoro rivendicazionista del Trio Bermuda (nel senso del triangolo che fa il repulisti). Finirà che la gioiosa macchina dell'umanesimo de' sinistra poi, sarà un irresistibile contagio e ogni specchio allora, vorrà il suo riflesso, ogni casella cercherà l'incasellabile e si farà pari e patta secondo lo schema prestabilito del ribaltone: al Moretti originale, si sostituirà un altro Moretti (già Martinelli, intervistato dal Corriere della Sera, s'è proposto), e così di seguito tra tutte le altre muse.

A Baricco, invero, si sostituirà un altro Baricco (magari quello straordinario del "Novecento" pubblicato su "Topolino" di questa settimana), a Santoro un altro Santoro (Angelo Mellone, editorialista del Messaggero, ha già avuto questa missione), a Piovani un altro Piovani (Demo Morselli della nota band)e così via, così come all'Unità verrà sovrapposta un'altra Unità (il Secolo d'Italia di Flavia Perina e del nostro Luciano Lanna) fino alla sostituzione del Premio Strega con un altro Premio Strega (Il Premio Almirante).

L'eroico Angelo Crespi, con il suo "Domenicale", il combattivo settimanale controcorrente, ha già gli elenchi pronti dei sostituti, tenuti in caldo da tempi memorabili, soprattutto ad uso della guerra interna: contro Mediaset, contro Mondadori, contro - insomma - tutta quella mobilia culturale del Cavaliere sostanzialmente fiancheggiatrice del potere culturale altrui mentre ai fedeli che devono sbattersi coi borderò e le collaborazioni restano solo sottoscala, sottocultura e sottopaga.

Attendonsi telefonini bianchi del pari e patta dunque, come se la lezione più squisitamente politica, con quel po' di Cavaliere, non fosse già stata chiara e definitiva: è l'originale che traccia il solco. Non il surrogato ideologico. Il giorno in cui la sinistra tentò di berluscare per cavarsela contro Berlusconi, infatti, s'è visto com'è finita. Solo l'inaudito originale s'aggiudica l'egemonia e vince. E quella del Cavaliere è stata la strategia dell'assolutamente nuovo.

Con lui non c'entra la Resistenza, il Sessantotto, il movimento, la baronia universitaria, l'estetica post-moderna, l'etica mite e la metafisica nel compimento galimbertiano. Con Berlusconi comincia il carnevale del "libera tutti", l'anarchia dei valori, il "carte a quarantotto" dell'identità nazionale, la telegenia, l'impero della Sardegna fino al pensionamento delle elite: prima tra tutte quelle delle oligarchie danarose, subito dopo quella intellettuale.

E' la destra a destra del Cavaliere che, invece - dimentica del processo sorprendente che l'ha portata in Campidoglio - rischia di patire la sindrome del surrogato: sempre in cerca di un Movimento studentesco di destra, e non quello premiato oggi nelle scuole e nelle università, ma un mitologico pneuma emozionale di chissà quale tempo che fu sull'onda dell'anticonformismo.

E sempre in cerca di una baronia chiaramente di destra, di un post-moderno di destra, di un'etica ovviamente di destra, di una Resistenza di destra (in mezza giornata Alemanno ha fatto il giro di tutti i sacrari, un tour che perfino Giorgio Napoletano potrebbe coprire e spalmare in tre anni almeno) e di un Sessantotto di destra, infine, quando l'unico ad avere avuto ragione in quell'anno era stato Eugene Ionesco e lo scriveva pure su "Il Borghese".

Magari è leggenda quella che vuole l'illustre rumeno affacciato alla finestra della sua Parigi per dire, "Studenti, contestatori: diventerete tutti notai", ma quella di Totò che spruzzava il Ddt sui divani dove s'erano accomodati Pierpaolo Pasolini e Ninetto Davoli, quando andarono a comminargli il copione di "Uccellaci e uccellini" è suprema quanto reazionaria verità.

Altro che teatro senza assurdi, attendonsi telefonini bianchi a prova di clonazione intellettuale se perfino la ricerca del doppio da paragone può portare un incolpevole Stefano Zecchi a farsi individuare dagli autori dei talk show nel frettoloso schema di un "Galimberti di destra", quando l'originale Umberto, non pago di plagiare i testi, si copia pure i titoli. Per Feltrinelli, facciamo ad esempio, ha scritto "Il Tramonto dell'Occidente" e a quelli di destra, ohibò, dovrà come minino sembrare uno Spengler più fico: ha pure una rubrica su D di Repubblica.

Altro che Istituto Gramsci, attendonsi i telefonini bianchi della penetrazione culturale perché quella meravigliosa fortuna di avere il Trio Bermuda al cinema non si ripete poi con la letteratura e con il pensiero alto. Gianfranco Miglio che era un vero genio della scienza politica non c'è più, con uno come Miglio non c'era rischio di rammaricarsi per ogni rimprovero di Giovanni Sartori, a suo tempo ebbe ragione Giuseppe Tomasi di Lampedusa e non Elio Vittorini, ci fu un tempo in cui il pensiero reazionario non si piegava allo Zeitgeist, al contrario, solo che adesso è diventata regola stare sempre e solo coi surrogati, con la religione obbligatoria del termine di paragone, quella dove si perde sempre.

Peggio del gramscismo, di fatto, c'è solo il gramscismo di destra, con tutto quel che ne seguì e ancor ne procede di comico. Quando qualche sciagurato mise in bocca a Gianfranco Fini la necessità di collocare Antonio Gramsci nell'atto fondativo di Alleanza nazionale, poco mancò che si facesse seguito con la proclamazione di Sandra Verusio quale madre della patria per sopravvivere alla mortificazione di cui è stato e continua ad essere succube tutto ciò che non riesce ad emergere dall'egemonico.

E allora altro che attesa dei Telefonini bianchi delle arti, del cinema e dello spettacolo, altro che riorganizzazione dei dipartimenti ministeriali e municipali, altro che trionfo triangolare di Barbareschi, Martinelli e Pasquale nostro. Una volta che non si potrà più abusare dell'alibi dell'egemonia culturale altrui, non finirà che tutte le boiate verranno a galla, come boiate appunto, senza più la giustificazione della persecuzione del libero pensiero?

Verranno pure i telefonini bianchi, sui giornali stranieri la nuova voga di Roma viene rappresentata sotto forma di caricatura nel mentre che tutta questa sindrome del surrogato si trascina sottoscala, sottocultura e sottopaga. Indubbiamente Roma è di per sé il primo fondamentale bilancio della produzione culturale e l'errore che Alemanno dovrà evitare, orbando il primo istinto di dare spazio a chi spazio non ha mai avuto, sarà proprio quello di resuscitare il sottoscala, la sottocultura e la sottopaga.

La sottocultura tira sempre per la giacca, tira sempre giù, il sottoscala non riesce nell'ascesa alle idee fresche perché resta asserragliato sulle barricate, affacciato su una guerra che esiste solo nella comoda e pigra catalogazione inventata dai giornali e certamente Alemanno non potrà ridurre la battaglia culturale all'abolizione dei libri di testo. E non dovrà portarsi dietro lo scarto della cultura di destra, quella maledizione del surrogato che non riesce a fare di un qualsiasi professore un minimo di caviale, un Renato Nicolini.

E dovrà guardarsi dal riprendere il metodo Sarkozy, un metodo che a Roma diventerebbe solo gestione della furbizia, anzi, il sindaco ha già Umberto Croppi - leader della Nuova Destra, trasversale senza essere inciucione, ben attrezzato di idee ed emozioni da superare tutte le prove di società - ha già Croppi che non è surrogato di alcunché.

Attendonsi telefonini bianchi, preferibilmente con la celletta sintonizzata ad Anzio, non a Capalbio e a differenza di Fini che non ha mai incarnato un'anima combattiva, il sindaco che le sue promesse di futuro potrà giocarsele, forte del suo linguaggio luccicante, dovrà fare dei suoi anni '70 una battaglia culturale pacificata.

E Croppi ed Alemanno, a maggior ragione che quelle promesse di distribuzione dei posti elargite quando non si pensava di vincere le elezioni non dovranno avere luogo (traduzione: a Roma ci sono almeno undici surrogati di Goffredo Bettini in attesa di sistemazione), dovranno soltanto dismettere la Santabarbara degli anni '70, diffidare dai primi nomi che vengono in mente (sono sempre quelli del surrogato, quelli del luogo comune), fare appunto sempre mente locale e cercare, covare, scovare e produrre talenti specie che non c'è niente di coraggioso e nuovo nel cinema italiano, niente di così esaltante in quella cattedrale dell'egemonia dove pure sono entrati per consolare e rassicurare tutti quelli che oggi si stanno offrendo loro quali prigionieri.

Attendonsi telefonini bianchi, certo, col rischio che una volta per tutte si scoprirà che Martinelli le sue stroncature e la persecuzione cui è stato fatto oggetto non è derivato dall'aver girato un film contro l'Islam, ma d'averlo girato male, peggio di quanto non abbiano fatto con i loro ombelicali cortometraggi tutti gli stronzetti garantiti dai contributi ministeriali.

Sarà un disastro quando tutta la schiuma dei sottovalutati reclamerà spazio, non ci sarà più la pietosa guarentigia dell'egemonia culturale altrui. Si scoprirà che questa non era dovuta al fatto che c'era un regime a imporla, ma una qualità e perfino una scaltrezza professionale. Prova ne sia che di quella mitica telefonata tra Saccà e il Cavaliere non una delle ragazze, regolarmente provinate, sicuramente pronte per i Telefonini Bianchi, ebbe il contratto. Se l'aggiudicò una valente professionista discesa dall'attico. Oltre ai libri di testo si dovrebbero adesso abolire gli attici?

Trovare, scovare e covare i talenti pacificati allora, il sindaco di Roma non è certo il presidente del Consiglio ma la città è tra le più importanti al mondo, è un luogo dove tutti vogliono arrivare per restare anche il tempo di un Racconto. C'è una solida tradizione di Racconti romani, il sindaco potrebbe invitare Philip Roth o Tom Wolf, pagare loro una settimana di bucatini in una bella residenza in città e chiedere in cambio un racconto, il sindaco potrebbe certamente soprassedere sul Red Carpet dell'Auditorium, ma in cambio mettere in ognuno dei sette colli dell'Urbe un regista - gente del calibro di Mikhalkov, dei Cohen, di Coppola, gente in grado di trovare, scovare e covare talenti - e scrivere in ognuno dei colli un episodio per un film che descriva Roma, sorprendente e dirompente per come deve pur essere se il meccanismo del luogo comune da qualche parte deve essersi sfasciato. Altrimenti, con tutta la buona volontà, e con tutti quei Telefonini Bianchi in attesa di cinepresa, finirà che ad ogni Sean Penn si continuerà a preferire il solito Caimano.

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