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domenica 6 aprile 2008

Esce in Francia il documentario choc sul prete pedofilo.

"Liberaci dal male", il documentario sui sacerdoti pedofili in Usa.

(Laura Putti - La Repubblica) Parigi - Era il 1973 quando padre Oliver O’Grady, giovane prete di origini irlandesi, si installò nella sua prima parrocchia: Lodi, California del Nord. I parrocchiani furono molto ospitali. Come non esserlo? Mite, gentile, premuroso, “father Oliie” aveva in un attimo conquistato le loro anime.

Peccato che le anime dei frequentatori della chiesa fossero soltanto un tramite: attraverso di esse, padre O’Grady voleva arrivare alla carne. Quella dei loro figli. Era ai bambini che il parroco puntava: in vent’anni di carriera religiosa (tanti gliene lasciarono fare), ne molestò (e abusò, e violentò) una cinquantina. Il più piccolo aveva nove mesi; la più grande (consenziente) più di venti: la madre di un ragazzino al quale O’Grady voleva arrivare (ci riuscì). Non è cosa nuova, lo scandalo della padofilia nella chiesa americana. Nuovo è, invece, il fatto che un prete parli liberamente di un’esperienza personale tanto scabrosa.

Amy Berg, giornalista della CNN e della CBS impegnata sul fronte dei diritti umani e sociali, vincitrice di Emmy Awards per le sue inchieste nel 2003 e nel 2004, è andata a scovare Oliver O’Grady ed ha girato un documentario sconvolgente. Uscito negli Stati Uniti nell’ottobre di due anni fa, candidato all’Oscar del miglior documentario nel 2007, soltanto adesso ‘Deliver us from evil’ (liberaci dal male) arriva in Francia dove è uscito mercoledì. Il film è stato venduto in tutta Europa, tranne che in Germania e in Italia.

Amy Berg è riuscita ad avere il numero di telefono di O’Grady attraverso uno dei magistrati che aveva condotto l’inchiesta negli Stati Uniti. Per telefono l’ha convinto a testimoniare. E’ corsa a Dublino, dove l’ex prete vie da libero cittadino dopo soli sette anni di reclusione. “Le riprese sono durate dieci giorni” dice Amy Berg. “Ho ascoltato cose molto difficili, cose che mi hanno dato la nausea. E’ stata un’esperienza sconvolgente”. I suoi sentimenti diventano esattamente quelli dello spettatore. Man mano che il film scorre sul grande schermo ci si chiede se sia una finzione, se quelle due donne e quel ragazzo che raccontano scene di pedofilia, sodomia e carezze, siano attori che recitano una parte. Allora si cerca di proteggersi: sono attori, non possono essere altro che attori. Ma poi arrivano le testimonianze dei padri, delle madri: all’inizio posati, razionali, tranquilli. Raccontano i fatti quasi con distacco. Ma alla fine di di ‘Deliver us from evil’ gli uomini e le donne che hanno subito gli inganni di ‘father Ollie’ vanno in pezzi e crollano. Si sbriciolano in diretta.

Chi invece resta impassibile sono due testi del processo: monsignor Roger Mahoney (che negli anni 90 era vescovo di Stockton, ad un’ottantina di chilometri, dove O’Grady era stato trasferito, sempre come parroco, dopo che a Lodi la situazione cominciò a complicarsi) ed il suo vice con il profetico nome di monsignor Cain. Nel film si vedono le loro testimonianze, drammatiche per accidia e menzogna, piene di “non ricordo”, silenziose negazioni dell’evidenza. Tanto che, subito dopo il caso O’Grady, Mahoney venne nominato cardinale ed è attualmente a LOs Angeles.

In ‘Deliver us from evil’ Amy Berg -che ha scelto la storia di O’Grady su 550 casi di preti pedofili dei quali si era a lungo occupata come giornalista, aiutata dallo Snap (Survivor Network for Abused by Priests)- formula un’accusa precisa contro l’allora monsignor Ratzinger, colpevole di essere al corrente di tutto.

Ma la parte più sconvolgente è quella dell’intervista al pedofilo. Gentile, posato, perfino dolce, O’Grady ammette tutto. Parla in una chiesa. Ad un certo punto, candidamente, dice: “Se mi chiede se mi piacciono le donne direi di no. Se mi picciono gli uomini ancora no. Se mi piacciono i bambini, forse. Se mi piacciono i bambini in costume da bagno, si. Nudi, si”. Ammette tutto, e di più. Per esempio di essere stato violentato da suo fratello da bambino e di aver poi abusato per anni di sua sorella.

Davanti alla cinepresa scrive una lettera e la spedisce a tutte le sue vittime. Come se, a distanza di più di trent’anni, fosse la cosa giusta da fare. Chiede loro perdono e le invita ad incontrarsi a Dublino per poter parlare dell’accaduto e potersene infine liberare. Ma sui volti (e nelle biografie) di Marie Jyono e di Nancy Sloan, arrivate a 40 anni senza un amore e senza un figlio, si legge chiaramente che dello sguardo di Oliver O’Grady sui loro corpi di bambine non si libereranno mai.

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