Intatto il messaggio delle sue fiabe anche per gli adulti. Pochi come questo autore nato 203 anni fa hanno saputo affascinare i bambini di ogni latitudine affrontando temi delicati come la giustizia sociale.
(Antoni Arca - La Nuova Sardegna) Avendo deciso di assegnare un premio internazionale al miglior autore di libri per ragazzi, a metà degli anni ’50, l’Ibby (International Board on Books for Young People, sede principale Zurigo) lo intitolò ad Andersen. Qualche anno dopo, quando le molte decine di paesi membri pensarono di istituire una giornata mondiale del libro per ragazzi, anche allora non ebbero dubbi: doveva essere il 2 aprile, data di nascita di Hans Christian Andersen.
Perché tanta unanime convergenza? Semplice, perché Andersen è, nei fatti, l’inventore della fiaba d’autore, anzi, delle fiabe per bambini e ragazzi; insomma delle fiabe che di solito troviamo nelle antologie scolastiche della scuola primaria. Chi non conosce Il brutto anatroccolo, La Sirenetta, La piccola fiammiferaia, Il soldatino di stagno, La principessa sul pisello? Le scrisse Andersen nella Danimarca dell’800 dall’inizio degli anni’30 alla fine degli anni’60; cioè qualcosa come 150 anni fa, anno più, anno meno. Come dire che la prima fiaba di Andersen è 50 anni più vecchia del nostro vecchio Pinocchio, la prima vera fiaba italiana per bambini.
Bene, considerato che oggi sarebbe il suo 203º compleanno, e che per questo è la giornata mondiale del libro per ragazzi, proviamo a ragionare su come sia possibile che il primo vero narratore di fiabe sia stato un danese.
Cominciamo riflettendo sulla sua biografia. Andersen nacque nella prospera Odense nel 1805, figlio di un misero ciabattino napoleonico e di una lavandaia alcolizzata, e crebbe fratello di una giovane prostituta. Non frequentò regolarmente nessuna scuola e precocemente manifestò tendenze omosessuali. A 10 anni suo padre morì e a 11 scappò a Copenaghen. Nella nuova città fece mille mestieri manuali fino all’ingresso in teatro, a 14 anni, in qualità di cantante soprano. Finché gli fu possibile, almeno in scena, Andersen visse da donna. Poi gli ormoni ebbero la meglio, la voce gli si fece maschile e Andersen si iscrisse all’università; dove non cambiò i propri gusti sessuali.
Domanda, in quale altro angolo d’Europa, sarebbe stato possibile un destino come quello andersiano negli anni’20 dell’800? In nessun altro, ne sono convinto.
È nella Danimarca di Soren Kierkegaard, infatti, che si sviluppa una moderna attenzione e cura verso l’intelligenza e la cultura del fanciullo. È proprio il filosofo a interrogarsi su come sia meglio raccontare loro fiabe.
È sempre nella Danimarca ottocentesca che vengono brevettati i mattoncini Lego. Ed è in Danimarca che vengono formalizzate le le folkehojskoler, vale a dire le scuole superiori del popolo; grosso modo quell’intreccio di solidarietà e buon senso che impegnò gli adulti che stavano intorno a quel nasone allampanato del giovane Andersen (mentre si barcamenava tra lavori da manovale, comparsate da soprano e ambizioni da drammaturgo), affinché imparasse davvero a leggere a scrivere, affinché si facesse una buona cultura generale e, essendo ambizioso, affinché sostenesse gli esami di accesso all’università. Tutto questo affinché un qualunque figlio del popolo avesse pari opportunità.
Non è fantastoria, era la Danimarca dei primi vent’anni dell’800. Un luogo dove il re avrebbe di lì a poco concesso una costituzione democratica e, poco tempo dopo ancora, una monarchia parlamentare. Una lunga storia che fa sì che, ai giorni nostri, la Danimarca entri nelle statitische ufficiali come lo Stato più felice dell’Occidente.
Ne sono convinto: Andersen non avrebbe potuto nascere in nessun altro paese dell’Occidente. Ma non solo, se proviamo a leggere le sue fiabe attraverso il filtro della storia della Danimarca, riusciamo anche a capirle meglio, a comprenderne il messaggio più esplicito e utile in termini di politica sociale.
Prendiamone tre fa le più note. La Sirenetta. Da buoni figli di Disney, siamo convinti che sia necessario identificarsi nella fanciulla per metà pesce. Invece no. I bambini del tempo di Andersen si identificavano nel principe capitano e nella sua fidanzata. Cioè due giovani ricchi e belli presi d’amore ed egoismo. Né l’uno né l’altro si accorgeranno mai che la povera Sirenetta è morta per amore di lui, e che se non l’avesse salvato dalle acque tempestose a costo di immani sacrifici, la bella principessa non lo avrebbe mai ritrovato sulla riva. Il messaggio dunque è: giovani danesi ricchi, non siate egoisti, i poveri esistono, ascoltateli, non rubate loro la voce.
Il brutto anatroccolo. Come è noto, questa è considerata una sorta di fiaba autobiografica. E sarà magari anche vero, ma è certamente una fiaba politica, o, se volete, di severa denuncia sociale. Il mondo attuale è gestito da gruppi contrapposti, egoisti e indifferenti gli uni agli altri. Tutti pensano soltanto al proprio tornaconto, non c’è scambio. Le anatre scacciano il giovane cigno perché sono razziste. I cigni guardano a lui solo quando è abbastanza adulto per stare con loro, prima non lo avevano mai degnato di uno sguardo: i cigni non si interessano delle anatre, sono superiori, quindi indifferenti alle loro esigenze. Il messaggio è chiaro: non c’è né salvezza né bene comune, senza mutuo riconoscimento.
La piccola fiammiferaia. Una esplicita denuncia sociale, purtroppo ancora attualissima. Noi andiamo a far compere per santificare meglio le feste, mentre i diseredati muoiono nelle nostre piazze e nelle nostre strade, ma invisibili ai nostri occhi. Il messaggio trovatelo da soli nelle pagine di cronaca dello scorso lunedì di Pasquetta.
Il 2 aprile è la giornata mondiale del libro per ragazzi in onore di Andersen, ma, in onore dei nostri figli, proviamo a leggere le sue fiabe per ciò che ancora hanno da dirci
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