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martedì 25 marzo 2008

Sexy Shock un altro porno è possibile: “Fatti il tuo film porno”. Le ragazze del porno accanto.

Un tempo l'industria dell'hardcore e le femministe erano nemici giurati. Ma ora una nuova generazione di attiviste vuole colpire il nemico dall'interno.

(Cristina Petrucci - La Repubblica XL) La pornografia è la teoria, lo stupro è la pratica», dicevano le femministe negli anni 60 e 70. Da allora, però, molte cose sono cambiate. L’americana Annie Sprinkle, pornostar e femminista, è stata la prima a suggerire e a mettere in pratica l’idea che la liberazione delle donne potesse passare anche attraverso l’industria dell’hardcore. La sua amica e collega Candida Royalle, poi, ha fatto anche di più, creando nel 1980 Femme Productions, la prima compagnia che produce film erotici creati da e per le donne. Ora il loro messaggio, “Fatti il tuo film porno”, sta ispirando tutta una nuova generazione di artiste e attiviste del “grrl power” in Usa ed Europa. A cominciare da due ragazze spagnole. Águeda Bañón e María la cui missione è andare in giro per il mondo a tenere workshop sulla pornografia e il femminismo.

Le “aspiranti pornostar” imparano tecniche e pose da ripetere poi di fronte a una telecamera. Nulla a che vedere con quello che si trova nei film porno classici, ma neanche in quelli cosiddetti alternativi come l’italiano Mucchio Selvaggio, diretto da Matteo Swaitz dove, al di là dell’ambientazione underground e della presenza dei rapper Club Dogo e Truceklan e della suicide girl Violetta Beauregarde, si vedono gli stereotipi maschilisti e le scene tipiche dei prodotti più commerciali.

Per fortuna, però, qualcosa di nuovo si sta muovendo anche nel nostro paese: «Abbiamo deciso di riappropriarci di pratiche erotiche e sessuali che di solito vengono considerate offensive o pesanti per le donne», racconta Elena, proprietaria di Betty & Books, il primo sex shop aperto in Italia da un collettivo femminista, il Sexi Shock, nato all’interno del centro sociale TPO di Bologna. «La decisione di vendere dei sex toys viene proprio da questo percorso. Ci siamo accorte che al collettivo venivano donne che ci chiedevano oggettistica di vario genere, da qui la decisione di aprire un negozio. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, non vengono ragazze o donne “alternative” ma proprio ragazze “normali”, soprattutto lesbiche giovanissime dai 18 ai 25 anni». Ai tradizionali sexy shop così poco invitanti, per non dire squallidi, si stanno dunque affiancando timidamente negozi “women friendly”, pensati appositamente per il pubblico del gentil sesso. Libri, giocattoli erotici, cataloghi d’arte, riviste internazionali, abbigliamento e accessori. Paradossalmente, vi si può trovare di tutto tranne i film porno: «Le nostre clienti ce li chiedono ma purtroppo il tipo di distribuzione che arriva in Italia è solo commerciale, da cui il porno al femminile è completamente escluso. Quindi non ne vendiamo perché non ci danno sufficienti garanzie contro lo sfruttamento delle ragazze o sull’uso dei preservativi».

Ancora una volta, la risposta è “Do It Yourself”: «A ottobre abbiamo inaugurato una serie di workshop chiamati ConSensuality per insegnare a giocare con gli oggetti che vendiamo e con la pornografia», ci spiega Elena. «La parola chiave è “safe sex”, sesso sicuro, sia per la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili, ma soprattutto per scoprire quali sono le nostre reali fantasie e condividerle con il o la partner». Gli argomenti sono dei più vari, dal burlesque al bondage, dal fisting all’uso dei sex toys. L’idea è che qualsiasi fantasia sia legittima, a patto che vada di pari passo con la consensualità. «Per esempio, se si vuole fare del bondage (ovvero, l’arte di legare, nda), ci sono delle cose che bisogna sapere sulla circolazione sanguigna. Esplorando le fantasie relative all’atto di legare o essere legate, si lavora anche sul concetto di potere. Abbiamo dovuto fare un discorso lungo un’ora per spiegare che legare non è un gioco di potere e che c’è una netta separazione tra sadomaso, sessualità e bondage».

Tra tutte le insegnanti che hanno partecipato ai workshop, abbiamo incontrato Daniela Crocetti, un’italoamericana di 32 anni laureata in antropologia del corpo, queer performer, “mental masturbator” e che dal 1995 pratica fisting vaginale. A vederla così, con il faccino dolce e pulito e la voce appena percepibile, non diresti mai che si tratta dell’insegnante più richiesta.

«Quando parlo di fisting (letteralmente “fist” significa pugno) vaginale, percepisco che in quasi tutti gli ambienti questa pratica viene considerata hard, invece non si fa niente senza elaborare i rapporti tra le persone. Soprattutto il fisting non si fa se la persona non è davvero rilassata. Quindi, il primo passo è demistificare il fisting vaginale come una pratica violenta e imparare a farlo in maniera piacevole. Anche perché parlare di queste pratiche», continua Daniela, «permette di concentrarsi sulla sessualità delle donne e non sul fallo. Che si tratti di sesso etero o omo, l’obiettivo è sempre il piacere delle donne. E questo è un atto altamente politico, ma soprattutto è un modo per insegnare agli uomini a scopare bene».

Da Bologna ci trasferiamo a Roma, dove recentemente sono nati molti sex shop women-friendly, dal centralissimo MistyBeethoven, nel rione Monti al raffinato ZouZou che organizza per le sue clienti il “Sensual Date”. Si tratta di serate a domicilio stile “Signorine Avon” in cui tra uno spuntino afrodisiaco e la presentazione dei prodotti si potranno acquistare luxury sex toys, lingerie ricercate e creme che aumentano l’eccitazione femminile. Ma è la recente apertura di Tuba nel quartiere del Pigneto ad aver scosso la cattolicissima capitale. Già perché le ragazze del bazar dei desideri hanno aperto il loro negozio con dei finanziamenti pubblici scatenando le ire più conservatrici. Nell’ultimo anno, poi, anche i centri sociali della capitale si sono dedicati alla pornografia. Al Forte Prenestino, per esempio, in occasione dell’ultima edizione del festival Crack! Fumetti dirompenti, è stato organizzato un seminario di due giorni dedicato alla costruzione di oggetti erotici come vibratori e dildi. «La pornografia è un’industria come tutte le altre e quindi sottostà a quelle leggi, abbassamento della qualità dei prodotti e sfruttamento della manodopera. Sicuramente è un mercato che guarda principalmente al pubblico maschile, non nella sua componente hardcore, ma nella rapidità in cui si esauriscono le situazioni seduttive, nella trama dei film sempre poco ironici e molto gonfiati».

A parlare è Maria, una delle organizzatrici dei workshop che sono stati tenuti dalle spagnole del collettivo Bricolaje Sexual. «Facendo questi seminari ho capito che ci sarebbe un bel mercato femminile per la pornografia, a patto che la si faccia finita con i soliti stereotipi. Bisogna capire che le fantasie femminili sono hardcore come quelle maschili. Giochi di ruolo e situazioni limite sono eccitanti per noi come per i maschi. Questi workshop sono a misura di chi vi partecipa: una cosa che ti costruisci da sola è un pezzo unico fatto su misura, controlli la provenienza dei materiali che sono tutti riciclati. Ognuna di noi ha portato da casa vecchi elettrodomestici rotti che abbiamo smontato e poi usato per farci dei vibratori. Abbiamo unito competenze di tipo maschile come la saldatura, con i “classici” lavori femminili tipo ago, filo e latex».

Un modo, insomma, per giocare, conoscersi, costruire oggetti e produrre film tra donne con l’obiettivo di riprendere il controllo su un immaginario troppo sfruttato commercialmente e pensato solo per un pubblico maschile. Almeno, fino ad ora...

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