banda http://blografando.splinder.com

lunedì 24 marzo 2008

Giordano Bruno Guerri intervista a Daniele Scalise."Nei confronti dei gay destra e sinistra sono identiche".

(Giordano Bruno Guerri - Prima comunicazione) A fare il padrone in casa d’altri ci si sente come un cane in chiesa, dicono in Toscana. Epperò Daniele Scalise non può mica autointervistarsi, in questa sua rubrica sui giornalisti che scrivono libri. Tocca a me, e volentieri.

Perché ho molto amato il suo saggio di storia Il caso Mortara, su un bambino ebreo fatto rapire da Pio IX, e perché anche il nuovo libro è bello, e lui schietto. Lettera di un padre omosessuale alla figlia, come molte lettere, parla più dell’autore che del destinatario: Scalise racconta cosa pensa della sua condizione e di quella degli altri omosessuali, come si è comportata verso di loro la società e di come dovrebbe comportarsi. Per cui, con un doppio salto mortale, è un libro rivolto soprattutto a chi omosessuale non è. Nient’affatto piagnucoloso, anzi piuttosto inalberato, Scalise spiega che l’omosessualità è ormai diventata una faccenda “normale”, ma che per esserlo del tutto ha bisogno di essere “normata”.

Prima - Di certo non ti chiedo perché sei passato da eterosessuale a gay, ma perché sei passato dalla Mondadori alla Rizzoli sì.

Daniele Scalise – Perché si era esaurito il rapporto con Mondadori, dopo nove anni. Avevo un editor eccezionale, Andrea Cane.

Prima – Lo so, è anche il mio.

D. Scalise – Poi avevamo chiuso, insieme, la collana “Men on Men”, cinque antologie di racconti gay. Ho pubblicato per nove anni da Mondadori, e mi sono trovato benissimo, ma quando ho fatto nuove proposte l’accoglienza è stata molto tiepida. Allora mi sono rivolto alla Rizzoli, dove ho trovato Carlo Alberto Brioschi, altrettanto in gamba, che mi ha accolto a braccia aperte. Le mie proposte gli sono piaciute, ma un giorno mi ha telefonato. “Ho un’idea. Non mi mandare a fare in culo, però.” Era Lettera di padre omosessuale alla figlia. Ho detto subito sì, era una grande idea. Ho solo chiesto il parere di mia figlia, e lei è stata d’accordo.

Prima – Mica te la prendi se ti copio le domande. Hai lavorato con l’editor?

D. Scalise – Ho avuto due tipi di editor. Manuela Galbiati, che mi ha fatto un editing di struttura, aggiunte, tagli, spostamenti. Ho accolto il 99.99 per cento delle sue richieste. Poi ho avuto un editing parola per parola con Cristiana Lelli, che mi ha fatto le pulci su ogni virgola, ogni parola. Ho imparato quanto sia necessario l’editing, almeno per me: quante banalità, sciocchezze, errori mi evita.

Prima – Come Brioschi ti dico non mi mandare a fare in culo, però non ti è venuta voglia di far fare l’editing anche a un tuo pezzo giornalistico?

D. Scalise – Ma la scrittura lunga è un’altra cosa, problemi di ritmo, di ripetizioni.

Prima – Hai trovato differenza di peso – distribuzione, ufficio stampa – fra Mondadori e Rizzoli?

D. Scalise – Sostanzialmente no. La distribuzione arriva ovunque, l’ufficio stampa è una macchina da guerra. Però sono convinto fin dal primo libro che il vero ufficio stampa lo fa l’autore. Non possono stare dietro a tutti i libri. E’ l’autore che si deve muovere, andare in giro, parlare con i giornalisti, mandare il libro alle persone giuste, sollecitare le recensioni, interessare le televisioni e le radio eccetera. L’ho sempre fatto anche se è la parte che più mi ripugna, perché mi sento come una puttana che va in giro a vendere la propria merce.

Prima – Non come un padre che aiuta il suo bambino a crescere?

D. Scalise – Questa è la versione buona, però è una fatica. Comunque evito le presentazioni: devi chiedere dei favori, preoccuparti della sala e che sia piena, tutto si svolge in un clima compiacente e con un effetto sulle vendite nullo. Questo soprattutto in ambiente gay, mentre faccio volentieri le presentazioni nelle comunità ebraiche, perché mi piace conoscerle, sono sempre diverse e di solito il dibattito è molto alto. Fra i gay è sempre un darsi ragione. Ma meglio di tutto è la televisione, perché acchiappi un sacco di gente. In ogni modo siamo alla seconda ediz…

Prima – Passi subito all’argomento preferito degli autori. Prima tiratura? Ristampa?

D. Scalise – Settemila e duemila.

Prima – Su questo gli autori mentono sempre, tutti. Ma ti credo, perché non vorrai mica inquinare la tua rubrica. Ottimo, in tre settimane.

Prima – La pubblicità l’hai trattata?

D. Scalise – No. No, e mi ha insegnato qualcosa il mio intervistato Maurizio Molinari, che l’ha ottenuta per contratto.

Prima – Difficile da ottenere. Ma puoi chiedere almeno una pubblicità a ogni ristampa. E la durata del contratto? Sarà 10 anni. Puoi scendere facilmente a 7.

D. Scalise – Mi segno anche questa.

Prima – Anticipo, percentuali?

D. Scalise – Gli autori mi fanno sempre resistenze di soldi, ma te lo dico senza problemi. Ho avuto 15.000 euro di anticipo e il 14 per cento fisso sulle vendite.

Prima – A 15 euro a volume, con 7000 copie vendute hai già coperto l’anticipo. Puoi chiedere di più, la prossima volta. Hai un agente? E quanto ci hai lavorato?

D. Scalise – Non ho un agente, ma me la cavo nelle trattative. Il libro l’ho scritto in un mese, più la revisione. Per Il caso Mortara mi sono dovuto licenziare dall’agenzia dove lavoravo, ci ho investito la liquidazione per fare ricerche in tutto il mondo e ci ho messo tre anni, di cui uno di scrittura.

Prima – Perché gli ebrei e gli omosessuali?

D. Scalise – Gli omosessuali perché sono omosessuale. A me non è mai successo di subire discriminazioni o situazioni sgradevoli, ma sento molto la sofferenza di tanti omosessuali. Gli ebrei mi interessano per il motivo opposto, perché non sono ebreo: e da non ebreo ho trovato nell’ebraismo un orizzonte morale e culturale straordinario. Solido. Quando ero di sinistra, avevo i soliti pregiudizi nei confronti di Israele. Li ho superati nel ’91, mentre ero inviato nella guerra del Golfo. Sentivo i pregiudizi contro Israele e sentivo che se fosse scomparsa Israele sarebbe scomparsa anche una parte mia, profonda.

Prima – Quando hai smesso di essere di sinistra?

D. Scalise – Nel ’94. Ho visto un antiberlusconismo feroce. Non sopporto l’ideologismo. Già non mi piaceva la sinistra per il suo antiisraelismo. Dal ’94 non vado più a votare, ho deciso che non sono degni del mio voto. Comunque non sono ancora a destra e non so se mai lo diventerò. In Italia non ci sono né una destra né una sinistra dignitose e serie, come piacerebbe a me. Il grosso problema dell’Italia è che non c’è una vera leadership politica.

Prima – Però sei rimasto all’Espresso fino al 2002, prima di passare al Foglio con la memorabile rubrica “Froci”.

D. Scalise – All’Espresso mi aveva accolto Giulio Anselmi con una rubrica che si chiamava “Gaywatch”. La nuova direttrice Daniela Hamaui mi ha fatto fuori, com’era suo diritto. Mi è dispiaciuto che me l’abbia fatto dire da un suo vice.

Prima – A destra non hai trovato un atteggiamento di maggiore chiusura verso gli omosessuali?

D. Scalise – Sì, c’è un residuo moralista e conservatore più duro che a sinistra. Nella sostanza però le posizioni sono identiche. Né i governi di sinistra né quelli di destra hanno fatto nulla per gli omosessuali. E Prodi ha rischiato di cadere per quella robetta sui Dico. Io, se fossi un eterosessuale, sarei indignato perché parte dei cittadini di questo Paese è discriminata. C’entra la Chiesa, ma c’entra molto di più la classe politica, inginocchiata davanti alla Chiesa. E questo è un disastro per tutti.

Prima – Ti risulta che gli omosessuali sentano questo gran bisogno di una normalizzazione, o meglio di una normativa?

D. Scalise – Sempre di più. Soprattutto i più giovani, che vivono l’omosessualità come la cosa più naturale della terra. Sono stupiti di una società che li guarda ancora come qualcosa di strano, vogliono vivere come tutti gli altri. Sono i gay più anziani che ancora amano i sotterfugi, la condizione anomala, perché la vivono come bizzarria e trasgressione. Sono nostalgici.

Prima – Come ha accolto il tuo libro la stampa gay?

D. Scalise – La stampa e il movimento gay sono molto sbilanciate a sinistra, e mi hanno spesso chiesto se sono di destra. Rispondo che a volte sono d’accordo con la destra, a volte con la sinistra, che non posso essere di sinistra perché sono omosessuale. La stampa classica è stata molto più interessata di quanto credessi, dal Corriere della Sera, a Libero al Messaggero. L’Avvenire mi ha molto divertito, prendendomi a esempio del fatto che gli omosessuali sono liberi di esprimersi. Però la stampa cattolica non mi sembra molto aperta al dialogo. Ho avuto la prima pagina del Secolo d’Italia, con Luciano Lanna, e poi quella dell’Unità, con Delia Vaccarello. Lanna ha avuto un coraggio strepitoso, dicendo ai lettori che sapeva di far arricciare qualche naso, ma che era un libro importante, da leggere. Poi è stato forte l’interesse delle televisioni e delle radio, Augias, Costanzo, tiggì di La7 e via dicendo.

Prima – Non sospetti che sia l’interesse per la donna cannone?

D. Scalise – Certo che sì. Anch’io, come giornalista, sono attirato dalle donne cannone. Ma se l’istinto è basso, spero che il contenuto veicoli un interesse più ampio.

Prima – E’ solo quando ricevo un mio libro stampato, che mi rendo conto di qualche difetto che non avevo visto durante il lavoro. Tu? A me sembra che manchi la figlia, in questo libro.

D. Scalise – Me lo aveva segnalato anche Carlo Alberto Brioschi appena letto il dattiloscritto: che c’è poca autobiografia, rispetto alla parte storico-politica. Ho avuto pudore a coinvolgere troppo mia figlia, che è anche una collega. Così come siamo stati d’accordo, con lei e con sua madre, che non avrebbero partecipato a interviste né tantomeno a trasmissioni televisive, dove le avrebbero volute sempre, più di me. D’altra parte, non ho una vita così romanzesca, né ho la stoffa del narratore capace di esaltare un dettaglio fino a renderlo appassionante. Insomma, non sono capace di fare letteratura. Quanto alla mia vita sessuale, non sono pudico, ma non ha davvero interesse, e soprattutto non mi veniva di raccontarla a mia figlia. A me premeva raccontare come è cambiata l’omosessualità negli ultimi quarant’anni. Un cambiamento epocale – dalla clandestinità alla libertà – che ho avuto la ventura di vivere. Dopo quello degli Stati, cambierà sempre di più anche l’atteggiamento della gente verso gli omosessuali.

Prima – Non hai l’impressione che ormai si sia stufi di sentir parlare di omosessuali?

D. Scalise – Certo, anche noi ci siamo rotti i coglioni. Ma bisognerà arrivare al diritto al matrimonio. Dopo, che ci sarà ancora da discutere?

Prima – Del problema dell’adozione da parte di una coppia gay, se non di fare figli naturali con tecniche di inseminazione. Tu sostieni che “basta che un bambino sia amato” e anch’io credo che una famiglia sia quasi sempre meglio di un orfanotrofio. Ma, da quando ho avuto un figlio, mi rendo conto che ha bisogno di un padre e di una madre. I bambini sono conservatori.

D. Scalise – Sono sicuro che un bambino abbia assolutamente bisogno di una madre, mentre non sono sicuro che un padre gli sia indispensabile. Però ho conosciuto figli cresciuti solo con il padre, e erano equilibrati. E’ vero che ci sono dei condizionamenti sociali, anche pesanti, ma sono destinati a cambiare. Come una volta per i figli dei divorziati o dei genitori maturi, che venivano sbeffeggiati, e ora sono una cosa normale.

Prima – Tu sfati anche il mito dell’omosessuale brillante, creativo, sempre sopra la media.

D. Scalise – Per carità, te ne posso presentare a migliaia di omosessuali cupi, rozzi, noiosi.

Prima – Il prossimo libro?

D. Scalise – Ho un’altra ossessione: la misoginia. Voglio raccontare quanto i maschi odino le femmine.

Prima – Stavolta non ti basterà un mese.

D. Scalise – Lo so, bisognerà fare ricerche. Ma basterebbe anche sentire cosa dicono gli uomini, in palestra, delle mogli. Che carico di disprezzo, di derisione, di disgusto. Ogni volta penso, “poverette”.

Sphere: Related Content

Nessun commento: