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venerdì 15 agosto 2008

Marocchino, scrittore e gay.

(Silvana La Porta) E’ il primo autore esplicitamente gay della letteratura araba. E già questo scardina le certezze stratificate del lettore occidentale. Ma soprattutto racconta una storia autobiografica imitando la maniera delle migliori penne francesi sul tema dell’amore diverso. Strizzando un occhio alla Yourcenar di Alexis e al Gide de L’immoralista, arriva così nelle librerie l’ultima fatica dello scrittore marocchino Rachid O. (Quel che resta, Playground, pp.92, € 10), che narra, tra continui flashback tra Marocco e Francia, l’incontro del protagonista, lo stesso scrittore, con un prostituto dell’est europeo in piazza della Repubblica, a Roma. Qua Rachid sta trascorrendo un anno come borsista dell’Accademia di Francia; ma una notte, per dirla sempre con Gide, egli incontra la bellezza e un sorriso accattivante. Scrittura della memoria è questa di Rachid O. e scrittura dell’anima; dove il protagonista Rachid non è tout court lo scrittore Rachid O., ma un suo alter ego. Che vive intensamente le sue emozioni, piange, si dispera e si intenerisce, ricordando con immenso amore e adorazione il padre e lo zio, gli uomini che più egli ha amato. E accanto agli uomini i luoghi: il Marocco “dove giocare a guardie e ladri, mai a nascondino perché i boschi fitti da noi non ci sono”; la Francia, dove Rachid vede per la prima volta la neve; e infine Roma, la città eterna di monumenti e vita fremente.
A tocchi leggeri si dipana così il disegno di personaggi, anime e volti in un continuo gioco di specchi tra presente e passato, dove ciò che è stato illumina ciò che è, lo sostanzia e gli dà forza: ma quel che veramente conta è questo io così lirico e delicato, per il quale la scrittura rappresenta un’ancora di salvezza. E’ questa forse, a una lettura attenta, la chiave di lettura di questo breve racconto: il tentativo di riproporre l’attività letteraria come distillato di sentimenti, sfogo di un animo gonfio d’amore che usa parole semplici come un bianco puro. Vera rarità in un mondo come quello odierno dove la letteratura è una specie di epidemia e solo produzione pletorica e insensata di libri.

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