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martedì 27 maggio 2008

Palermo: storia di Paolo, accoltellato dal padre perché gay.

(Panorama) “Disonore e vergogna”, parole che evocano altri tempi, pronunciate da un padre: Giovanni Brunetto, palermitano, 53 anni, che, sabato scorso, ha accoltellato il figlio gay. Dopo l’aggressione non ha cercato di fuggire. Si è lasciato ammanettare dai carabinieri e ha detto: “Non ci ho visto più. Provo vergogna, mi ha disonorato”. E di onore parla anche la moglie, mentre impreca contro i giornalisti. “Che volete da noi?” grida. “In questa casa non c’è più onore: non potete toglierci più nulla”. Lui, la vittima, Paolo, 18 anni compiuti a gennaio, risponde a bassa voce: “Mio padre non mi ha mai accettato. Non ha voluto rassegnarsi al fatto che sono omosessuale. Ho cercato di convincerlo che la mia non è una malattia, né una cosa sporca, ma è stato tutto inutile”.Quartiere Brancaccio, periferia est di Palermo. Paolo accetta di parlare. Si affaccia al balcone. Ha le braccia fasciate e sul viso i segni delle percosse, ma non si vergogna. “è un anno che ho capito di essere gay”, racconta. “E ho deciso di dirlo a mia madre. Mi comprende, è stata lei a riferirlo a mio padre e da allora in questa casa abbiamo smesso di vivere”.L’uomo non si rassegna. Segue Paolo, lo spia, non vuole che esca con gli amici. “Pensava che mi prostituissi” dice il ragazzo. “E invece io frequentavo solo i miei amici, quelli come me”. Ma la madre, che ha sempre difeso il figlio, tenta di salvare anche l’onore del marito, in cella da sabato con le accuse di maltrattamenti in famiglia e lesioni.

“Voleva solo che lavorasse” spiega. “Ha la testa piena di fantasie: vuole fare il fotomodello, insegue la bella vita. Noi non abbiamo soldi, non possiamo mantenerlo”. “Gli ho chiesto di aiutarmi a trovare un lavoro” replica la vittima “ma lui si rifiutava: diceva che si vergognava di presentarmi in giro perché ero gay”.
Tensioni di un anno, dunque, che sabato scorso sono esplose nella violenza. Alessandro torna dal mare e comunica ai genitori che uscirà di lì a poco. Il padre si arrabbia.
“Ero sotto la doccia” racconta il ragazzo, “quando l’ho visto davanti. Aveva in mano il coltello e mi ha aggredito”. I carabinieri, chiamati dai vicini, trovano il giovane con le braccia coperte di sangue. Seduto a terra in un angolo, terrorizzato. Il padre finisce in carcere.
Ma la storia di Paolo esce presto dai confini delle mura domestiche e da dramma familiare diventa emblematica, secondo politici e esponenti delle associazioni che difendono i diritti degli omosessuali, del “clima di omofobia” che si sta diffondendo nel Paese”. “Il governo vari al più presto una legge contro le violenze nei confronti di gay , lesbiche e trans”, è il grido unanime di Arcigay e Arcilesbica.

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