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domenica 20 aprile 2008

Storia di una centrale mai nata. Forse.

(Maddalena Balacco (loska) - Giornalettismo.com) Quando l’ambientalismo (o presunto tale) non si ferma davanti a niente diventa un movimento che cavalca anche l’ignoranza pur di ottenere - alla fine dei conti - una poltrona. L’incredibile cronaca di un’occasione persa “Quando ci sarà la centrale a Biomasse, tutto il verde di questa vallata non esisterà più”. E’ questo quello che pensavano in molti a Stigliano, Matera, quando otto anni fa la Gavazzi Green power aveva chiesto e ottenuto i permessi per installare nell’entroterra del piccolo paese lucano una centrale che producesse energia elettrica a partire dalla combustione di biomassa. Contro la decisione dell’ amministrazione comunale di allora si alzò un coro di no, sostenuto da un più o meno organizzato fronte (uno dei tipici “Fronte del No” imperanti ormai in tutta Italia) che denunciava l’Armageddon ambientale prossimo venturo (insinuando come sempre in questi casi, connivenze varie ed eventuali su chiunque fosse di parere contrario). Un muro contro muro terminato nel classico “niente di fatto” all’italiana. Con sorpresa finale.

SO DI NON SAPERE - Una storia, quella della centrale a biomasse, che dura appunto da ben 8 anni e tre giunte comunali. Correva infatti l’anno 2000 quando forte dell’ok ricevuto dal comitato interministeriale (Ambiente, Industria, Sanità e Agricoltura) l’impresa energetica di Carlo Gavazzi si è presentata nel piccolo paese lucano chiedendo il via libera dal comune e la relativa licenza edilizia. Le contrattazioni prevedevano tutta una serie di punti che secondo l’allora sindaco erano di sicuro interesse per l’entroterra: a partire dalle royalties di “risarcimento ambientale” sull’energia prodotta (che sono arrivate al 7% fra Comune e Regione) fino all’accordo sulla costruzione di un impianto sportivo nella zona adiacente a quella industriale. E ancora, proprio per tutelare l’ambiente, l’installazione nei paesi vicini di rilevatori che indicassero la composizione dei fumi d’emissione e il sovvenzionamento di uno studio ambientale eseguito da un ente scelto dal Comune e non dall’impresa (l’Enea). La ricaduta economica prevedeva, tralasciando l’indotto edilizio per la costruzione dell’impianto (affidata a ditte locali), 50 posti di lavoro interni all’impresa e l’utilizzo di 70 autocarri per il trasporto della biomassa, che sempre per gli accordi intrapresi con la Gavazzi sarebbe stata prodotta in loco, sfruttando i terreni non coltivabili altrimenti. Niente male per un paese di 5mila anime circa, che, se avesse sfruttato l’occasione all’epoca, si sarebbe certamente candidato a motore dell’economia locale. Anche perchè molte altre imprese, attratte dalla possibilità di ottenere teleriscaldamento a prezzi bassi grazie alle emissioni della centrale, si dicevano pronte ad investire in loco. E poi? E poi è arrivato il “lupo verde”.

THE DAY AFTER TOMORROW! - La stessa Enea, durante l’esposizione dello studio, aveva espresso alcune perplessità sull’approvvigionamento, a cui però proprio l’accordo Comune/azienda aveva dato una prima sommaria risposta. Ma questo non è bastato a fermare il fronte del No: un insieme organizzato di cittadini ha iniziato ad avanzare le ipotesi più fantasiose sulla centrale e su cosa sarebbe accaduto una volta impiantata. “Bruceranno spazzatura!”; “La legna non basterà, arriverà dall’Est e con lei animali che distruggeranno il nostro ecosistema” erano i leit motiv della campagna ambientalista, che molto si basava su una diffusa ignoranza delle materie in oggetto. Basti pensare che un ricercatore (?) del Cnr cercò di dimostrare quale fra biossido di carbonio e anidride carbonica fosse più velenoso, sorvolando sul fatto che sono entrambi Co2, semplicemente in due nomenclature chimiche differenti. La popolazione, però, si allarmò non poco e lo strillare del fronte, appoggiato da alcuni rappresentanti di Verdi e Rifondazione in giunta regionale, provocò la chiusura all’impianto tout court, e di conseguenza l’annullamento sia dei rischi eventuali che dei sicuri benefici. Una prova di egoismo, sembrerebbe, soprattutto a fronte del fatto che la gran parte dei rappresentanti del NO ha poi colto la palla al balzo per candidarsi alle elezioni comunali successive e vincerle.

CONTI SOMMARI - La storia sembrerebbe concludersi così, con un niente di fatto che ha permesso ad un paese di perdere, economicamente parlando, sia gli introiti strutturali derivanti dalla costruzione della centrale (edilizia, idraulica, e simili), sia la possibilità di impiegare alcuni disoccupati. Intanto altrove le centrali nascevano e nascono, e sono sottoposte a severi controlli che ne seguono il lavoro costantemente. Mentre il bilancio per Stigliano si è chiuso così: niente energia verde, niente introiti del Cip6, niente clienti per le piccole imprese agroalimentari già presenti in loco… insomma niente di niente. Eppure, altrove, la storia continuava: la Gavazzi Green power, infatti, aveva già acquistato il terreno per la centrale e - onde evitare rilevanti perdite - decise di ricorrere al Tar. Che non solo le ha dato ragione, ma constatando il silenzio del governo regionale a distanza di anni dalla sentenza, ha nominato un Commissario (dalla direzione nazionale del Ministero dell’Ambiente) il quale sostituendosi ipso facto alla potestà regionale autorizzò la centrale a massimo voltaggio. E arriviamo ad oggi: la Gavazzi torna alla carica, prevedendo - permessi alla mano - di iniziare comunque i lavori entro maggio/giugno 2008. Dal Comune rimandano la palla alla Regione e anche questa volta i cittadini “faranno le barricate”, ma per permettere che la centrale venga costruita, perchè si sono resi conto che “si è chiesto cos’era la fame a quelli che erano sazi”. Mentre gli altri, la maggioranza ovviamente, per otto anni la fame l’ha patita alla faccia dell’aria buona (che non c’è) e del panorama per i turisti in agosto.

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