La chiesa, speranza del mondo.
«È una risorsa per tutti, anche per il nostro Paese», dice il segretario di Stato. Che lancia l'idea di una rete cattolica nei campi dell'informazione e della solidarietà.
(Alberto Bobbio - Famiglia Cristiana) La seconda enciclica di Benedetto XVI Spe salvi, il motu proprio sulla Messa in latino, l’ecumenismo, il dialogo con l’islam, ma anche l’Italia litigiosa, dove slitta un’idea positiva di laicità e dove mai come quest’anno è stato contestato alla Chiesa il diritto di parola.
Poi il Medio Oriente, l’America latina, la Cina, le Nazioni Unite.
E infine i media, con l’auspicio di una rete cattolica di giornali, agenzie, televisioni più incisiva a livello mondiale, le Ong cattoliche e l’idea di una "lobby" del bene e della solidarietà.
Il segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, dal Palazzo Apostolico traccia un bilancio e fa il punto su molte questioni.
Eminenza, nell’enciclica Spe salvi il Papa non si sottrae al dibattito culturale. Anzi vi entra senza alcun timore: illuminismo, Marx, la Scuola di Francoforte, totalitarismo e relativismo. Come è stata accolta l’enciclica?
«Vi è stato qualche dibattito un po’ critico sul rapporto con la scienza. Ma credo che sia stata ben accolta dai cattolici e dalle altre Chiese e comunità cristiane. Sono state diffuse circa due milioni di copie. Esprime un pensiero preciso, a volte tagliente, sicuramente stimolante dal punto di vista culturale, sui totalitarismi, che hanno fatto balenare false speranze, deluso le masse, disseminato sul cammino dell’uomo tanti miraggi. Riprende, poi, il dialogo con la scienza, senza smentirne il ruolo, la funzione, direi anzi la missione. Certamente stigmatizza anche le deviazioni. È un testo opportuno, sul quale il mondo intero dovrà riflettere e anche l’Italia dove la speranza si è un po’ smarrita».
In che senso?
«Vedo trepidazione, delusione, a volte anche paura. L’aspirazione al benessere, l’abitudine ad avere sempre tutto, a vivere comunque nell’agiatezza, l’euforia della ricchezza proposta come unica meta di speranza oggi sono messe a repentaglio dalla situazione economica. Accade sempre quando si fonda la speranza sui beni materiali».
Come vede l’Italia da questo palazzo che s’affaccia su Roma?
«Un po’ "litigiosa", nonostante tutte le promesse di gettare ponti, i ragionamenti sugli obiettivi comuni delle forze politiche e sociali. Le legittime diversità di opinioni non possono bloccare il processo di ricerca del bene comune per inseguire tanti beni particolari, che non aiutano l’Italia a crescere. La scelta della Chiesa italiana di dedicare la recente Settimama sociale dei cattolici a una riflessione sul bene comune è un appello che deve essere accolto».
L’Italia viene dipinta come un Paese in declino. Lei che opinione ha?
«I profeti di sventura non mi piacciono. Vi sono critiche vere che vanno fatte, ma non si può presentare l’Italia sempre negativamente. È autolesionismo di fronte all’opinione pubblica internazionale e un danno per tutte quelle risorse vere, positive, per quell’Italia che resiste, che lavora, che s’impegna per gli altri».
Chi la racconta?
«Questo è il problema. La televisione e i giornali parlano in abbondanza di delitti e di violenza. Pagine e pagine vengono riservate ai crimini in famiglia. Noto una sorta di inclinazione dei media a presentare tutto ciò che di male colpisce le famiglie. Raccontano situazioni al limite, la famiglia normale sembra scomparsa dall’orizzonte, quella dove si fatica, ma ci si vuole bene, si educano i figli anche alla solidarietà, all’impegno per gli altri, si prendono in carico i minori con l’affido, si adottano i bambini a distanza, segno che anche le situazioni di miseria nel mondo sono all’attenzione delle nostre famiglie normali. In Italia c’è una mentalità generosa, solidale, altruistica diffusa. Perché quel soldato in Afghanistan è morto buttandosi sul kamikaze per salvare altre vite? E così il generoso gesto del vigile del fuoco Giorgio Lorefice di Genova? Perché erano stati educati secondo l’ispirazione evangelica per cui la propria vita va spesa per il bene degli altri. Le famiglie che si radicano in questo insegnamento sono la maggioranza in Italia, ma i media quasi non se ne accorgono. Mentre la Chiesa italiana è molto stimata in Italia e all’estero, sia per l’opera di evangelizzazione del Paese, sia per la cooperazione con le altre Chiese di tutto il mondo».
E la politica se ne accorge?
«La posizione più saggia e obiettiva è quella del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: non cessa di indicare con forza le cose che non vanno, ma valorizza le ricchezze dell’Italia buona, operosa, generosa, morale».
Lei ha incontrato recentemente Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. Cosa ha detto loro?
«Innanzitutto ho ascoltato. Non è vero che le persone che incontro vengono a ricevere direttive dalla Santa Sede, come leggo a volte sui giornali. Certamente chiedono la nostra opinione. Ci preoccupa soprattutto la difesa dei valori della vita, del patrimonio morale e sociale che c’è nel Dna del popolo italiano e che noi presentiamo sempre sotto il profilo della dottrina sociale della Chiesa. La Chiesa è una risorsa anche per la comunità politica italiana».
Eppure qualcuno parla spesso e volentieri dell’Italia come di un Paese condizionato dalla Chiesa...
«La concezione di laicità opposta a religiosità è antistorica. Anche il presidente della laicissima Francia Nicolas Sarkozy ha detto pochi giorni fa a Roma che la Chiesa cattolica è una risorsa e non un ostacolo o un pericolo per lo sviluppo del Paese. E non contrasta con gli ideali repubblicani. Sarà mai possibile, anche per i laici italiani, pensare in questa maniera?».
Quest’anno la Chiesa in Italia ha subito pesanti attacchi. Ai tempi della Democrazia cristiana e del Pci la situazione era migliore?
«C’era più rispetto. La posizione di Gramsci e di tanti esponenti comunisti verso la religione era ben diversa da quelli di certi laicisti attuali, i quali ritengono che un cattolico non possa avere un concetto positivo di laicità. Allora Giuseppe Lazzati, Igino Giordani, Giorgio La Pira, e altre grandi personalità, cos’erano? A mio parere ci sono dei pregiudizi stereotipati, quasi che un cattolico non possa essere un cittadino vero».
Sui cosiddetti "valori non negoziabili", vita e famiglia in primo luogo, il 2007 è stato difficile...
«È stato un anno molto impegnativo per i cattolici italiani. L’ultimo, diciamo, incidente di percorso è stato l’inserimento di una norma antiomofobia nel decreto sulla sicurezza, argomento del tutto diverso. La posizione della Chiesa non è partigiana, ma corrisponde al diritto naturale. Il partito comunista di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, non avrebbe mai approvato le derive che si profilano oggi. Grandi intellettuali comunisti e socialisti che ho conosciuto personalmente avevano una visione laica ma morale, cioè credevano in un progetto morale ed etico autentico».
Ne ha parlato con Walter Veltroni?
«Certo. Ho auspicato che i cattolici non siano mortificati nel nascente Partito democratico e che ci si ispiri alla tradizione dei grandi partiti popolari, che avevano un saldo ancoraggio nei princìpi morali della convivenza sociale».
Torniamo alla Chiesa. Il motu proprio sulla Messa in latino ha provocato reazioni. Cosa pensate di fare?
«Ci sono state reazioni scomposte. Qualcuno è arrivato ad accusare il Papa di aver rinnegato l’insegnamento conciliare. Dall’altra parte c’è stato chi ha interpretato il motu proprio come l’autorizzazione al ritorno del solo rito preconciliare. Posizioni entrambe sbagliate, episodi esagerati che non corrispondono alle intenzioni del Papa. Si prevede di mettere a punto una "Istruzione" che fissi bene i criteri di applicazione del motu proprio».
Sul piano ecumenico si può parlare, secondo lei, di un maggiore avvicinamento agli ortodossi?
«Sono stati fatti passi avanti. Il problema ecumenico è una delle priorità del pontificato di Benedetto XVI. Lo ha detto nel suo primo discorso pubblico e ha posto la questione al centro dell’ultimo concistoro con tutti i cardinali del mondo. Uno dei problemi da approfondire rimane il primato papale. Su alcuni temi, per esempio famiglia, pace, ambiente, l’unità è più visibile. Sui temi teologici continuerà la discussione. Ma io credo che, proprio per la stima di cui gode papa Benedetto XVI come teologo, possano essere fatti passi concreti anche su questo piano».
La lettera sul dialogo inviata in Vaticano dai 138 intellettuali musulmani cosa porterà in futuro?
«Spingerà ad approfondire concretamente il dialogo con l’islam nel pluralismo delle posizioni. La risposta della Santa Sede è stata positiva e prelude a passi ulteriori. Il Papa ha espresso la sua disponibilità a ricevere una delegazione. Dobbiamo ragionare serenamente su ciò che ci unisce senza dimenticare ciò che ci divide».
È il Medio Oriente la questione più grave alla vostra attenzione?
«È uno dei problemi che ci preoccupano di più. Il Papa ne parla con tutti i leader che vengono in visita in Vaticano e al Medio Oriente ha dedicato moltissimi appelli durante gli Angelus domenicali di quest’anno».
Come vanno i rapporti con Israele? Qual è la situazione?
«Noi comprendiamo il problema della sicurezza di Israele. Ma questo non si può tramutare in un atteggiamento negativo verso i membri della Chiesa cattolica, che ha fatto tanto negli ultimi 15 anni, sia per regolarizzare i rapporti con Israele, sia per migliorare la comprensione dell’ebraismo. Il Custode di Terrasanta, padre Pizzaballa, ha ricordato che i pellegrini di tutto il mondo contribuiscono ad alimentare nel mondo un’immagine più giusta dello Stato di Israele. I pellegrinaggi ai luoghi santi, inoltre, arricchiscono Israele. Quest’anno sono cresciuti più che nell’Anno santo del Duemila. A volte, tuttavia, ci pare che Israele non valuti opportunamente e adeguatamente tutto ciò. Noi ci siamo impegnati in un dialogo intenso, ma purtroppo non otteniamo soluzione a molti problemi concreti: diritti di proprietà, visti eccetera. Il nostro personale religioso in Terrasanta non ottiene i visti, eppure non si può dire che minacci la sicurezza. Questa è una chiusura che impedisce un’attività serena».
Lei è stato più volte in America latina. Sul documento finale della riunione dei vescovi ad Aparecida vi sono state critiche...
«Il documento è stato approvato all’unanimità. Qualche critica è venuta dalle comunità di base, perché nel documento non c’è una valutazione positiva univoca su di loro, ma più realistica, che del resto è stata condivisa da tutti i vescovi. Per la maggior parte i problemi riscontrati in passato sono oggi superati. La Chiesa in America latina sta camminando molto bene, anche dal punto di vista della carità. La Chiesa del Perú, per fare un esempio, in occasione del terremoto dello scorso agosto non ha aspettato gli aiuti delle Chiese più ricche, ma ha cominciato subito a operare in maniera solidale».
E col Venezuela di Chavez, ridimensionato dal referendum popolare?
«La Chiesa venezuelana non ha mai smesso il dialogo con il potere politico. Il popolo del Venezuela ha dimostrato grande libertà e coraggio. In America latina i leader devono imparare ad ascoltare i popoli, che stanno maturando e prendendo coscienza del loro diritto a essere protagonisti».
Con Cuba ci sono colloqui in vista?
«Sto preparando un viaggio a Cuba per il mese di febbraio. Spero proprio di vedere il fratello di Fidel Castro, Raul, che oggi guida il Paese. Un fatto positivo è l’inaugurazione di un grande monumento pubblico a Giovanni Paolo II a Santa Clara, che io benedirò, e che ricorda i 10 anni dalla visita di Karol Wojtyla a Cuba».
Cambiamo continente. Cina: ci sono rapporti migliori?
«Ci sono aperture e contatti che proseguono. Un fatto singolare è stato quest’anno il riconoscimento del valore positivo delle religioni da parte del partito. Diciamo che procediamo a piccoli passi, ma andiamo avanti».
Il Papa andrà all’Onu in primavera. Poche settimane fa i giornali hanno scritto di critiche di Benedetto XVI alle Nazioni Unite: come stanno le cose?
«È stata la solita forzatura di un discorso da cui sono state riprese frasi fuori dal contesto.
Le preoccupazioni del Papa riguardo alle Nazioni Unite sono le stesse del segretario generale Ban Ki-Moon, un uomo di grande spiritualità. La Chiesa cattolica ha sempre appoggiato il lavoro delle Nazioni Unite e non cambierà politica. E il discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite ribadirà la necessità di puntare sui valori che sottendono le storiche dichiarazioni internazionali, pur nella preoccupazione circa le difficoltà di tenere insieme in un unico consesso mondiale quasi 200 Paesi con opzioni politiche e ideologiche diverse, e confermerà l’insostituibilità delle Nazioni Unite».
Il viaggio avverrà nel pieno della campagna elettorale americana. Lei teme strumentalizzazioni?
«Qualcuno dice che gli Stati Uniti sono sempre in campagna elettorale. Il Papa è al di sopra delle parti. Eventuali strumentalizzazioni non si possono certo controllare».
L’Osservatore Romano sta cambiando. È soddisfatto?
«Sì, al nostro quotidiano lavorano bene. Ma dobbiamo ravvivare le sinergie anche tra i media cattolici. Vi sono agenzie cattoliche come Misna e Zenit che hanno un posto importante tra i media. Ma bisogna fare di più: sinergie tra editori cattolici, facoltà di Scienze della comunicazione, giornali, radio e televisioni. C’è un progetto a cui stiamo lavorando per collegare L’Osservatore ad alcuni quotidiani italiani. E la stessa cosa va fatta per le Organizzazioni non governative cattoliche: azioni comuni, non separate o, peggio ancora, contrapposte.
L’idea conciliare di "Chiesa-comunione" deve essere tradotta nell’azione quotidiana delle Ong e dei media cattolici: fare rete e incidere con maggiore efficacia, altrimenti rischiamo il declino e perdiamo la sfida del confronto con la società contemporanea. Ma io vedo tante risorse e tanto impegno, per cui sono inguaribilmente ottimista».
Famiglia Cristiana n. 1/2008
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