 (Marina Cicogna - Vanity Fair) Ho letto molti scritti e ricordi su Gianni  Agnelli, e nessuno mi ha convinto. Gianni non  era così; è inutile «mitizzarlo» oltre la realtà - che lui fosse mitico è un  fatto oggettivo, il «mito» nasceva con lui, con il suo percorso di vita e con la  sua incredibile personalità. Ogni uomo è unico, alcuni lo sono di più, sono più  belli, più intelligenti, più ricchi, più acuti, più spiritosi. E  Gianni era tutto ciò, ma era innanzitutto un uomo, non un  santo. Un uomo affascinante perché pieno di dubbi, un misto di antichi obblighi  e contemporanee incertezze. Curioso di tutto, aveva sofferto per mancanza di  tenerezze infantili ed eccesso di imposizioni, e per gli incidenti che lo  avevano reso claudicante e impossibilitato a godere appieno della sua fisicità,  dell'amore per gli sport; quegli incidenti avevano umiliato la sua integrità  fisica negli anni in cui era ancora molto giovane. Aveva creato intorno a sé una  corazza di difesa, di pudore, di educazione, e non era facile capire quando  queste difese si abbassavano.
(Marina Cicogna - Vanity Fair) Ho letto molti scritti e ricordi su Gianni  Agnelli, e nessuno mi ha convinto. Gianni non  era così; è inutile «mitizzarlo» oltre la realtà - che lui fosse mitico è un  fatto oggettivo, il «mito» nasceva con lui, con il suo percorso di vita e con la  sua incredibile personalità. Ogni uomo è unico, alcuni lo sono di più, sono più  belli, più intelligenti, più ricchi, più acuti, più spiritosi. E  Gianni era tutto ciò, ma era innanzitutto un uomo, non un  santo. Un uomo affascinante perché pieno di dubbi, un misto di antichi obblighi  e contemporanee incertezze. Curioso di tutto, aveva sofferto per mancanza di  tenerezze infantili ed eccesso di imposizioni, e per gli incidenti che lo  avevano reso claudicante e impossibilitato a godere appieno della sua fisicità,  dell'amore per gli sport; quegli incidenti avevano umiliato la sua integrità  fisica negli anni in cui era ancora molto giovane. Aveva creato intorno a sé una  corazza di difesa, di pudore, di educazione, e non era facile capire quando  queste difese si abbassavano.
La gamba destra era stata lesa la prima  volta da giovanetto, durante la guerra. La seconda volta, dopo un gravissimo  incidente d'auto all'alba in una Costa Azzurra che era il luogo delle amicizie  internazionali, delle belle donne e dei tavoli da gioco, ma non dei grandi  chirurghi. Lui si ritrovò con quella gamba che i medici più volte gli  consigliarono di amputare. Gianni si rifiutò. Non voleva: quel  pezzo del suo corpo intendeva tenerlo.
Anche a costo delle sofferenze  causate dal fatto che la circolazione sanguigna non arrivava al piede: se si  feriva, lui nemmeno lo avvertiva, e così rischiò parecchie volte la cancrena.  Dei mocassini morbidi che era obbligato a portare riuscì a fare un simbolo di  eleganza, e della sua camminata incerta un'icona di stile. Per continuare a  scendere in velocità le piste di sci, si fece costruire un sostegno di acciaio e  pelle che gli reggeva la gamba. E anche quel gambale diventò simbolo di  fascino.
A NAPOLI CON GLI SCARPONI
Il rischio lo  aveva sempre divertito: al timone della sua barca, a vele spiegate, giocava a  puntare dritto su una imbarcazione di amici, virando all'ultimo istante. Poi  rideva in modo quasi infantile. Le sue montagne erano sempre state quelle del  Sestrière e di St. Moritz. I primi anni, a St. Moritz, il suo elicottero si  sollevava spesso dal lago dinanzi all'Hotel Palace, dove alloggiavano tutti i  nostri amici, e atterrava in luoghi impensabili.
La mattina presto  Gianni mi faceva buttare giù dal letto e, prima di raggiungere  le piste da sci, passavamo in volo sbirciando dalle finestre del Palace i nostri  amici ignari che iniziavano la giornata. Una volta, dalla cima di una montagna,  fummo costretti a scendere con gli sci perché c'era troppa neve e l'elicottero  non decollava con il nostro peso a bordo. Due ore a farsi strada nella neve  fresca, sprofondati fino alla cintola.
La gamba doveva torturarlo, ma  Gianni non disse una parola. Un'altra volta al Sestrière, dopo  una discesa poco felice, senza che mi dicesse nulla, con gli scarponi ancora ai  piedi, mi ritrovai sul suo aereo e poi seduta per la colazione a Napoli. A nulla  valsero le mie proteste: le occhiate incuriosite e stralunate degli altri  commensali lo riempivano di gioia.
Era curioso di tutto e di tutte le  cose belle, compresa la moda femminile e i bei film. Ma non aveva la pazienza di  assistere alla proiezione fino in fondo: conosceva, dei film, soprattutto il  primo tempo. Era affascinato dalla meteorologia perché avrebbe sempre voluto  volare verso i luoghi dove c'era il sole. Gli piaceva organizzare i menu con il  cuoco e andare nei negozi di alimentari a comprare il cibo: in particolare amava  scegliere il pesce fresco.
NUDO, SENZA PUDORE
Amava  scherzare e fare dispetti. Nei primi anni di matrimonio, a Villa Leopolda, a  bordo piscina, si avvicinava a noi, stesi a prendere il sole, e si soffiava il  naso nei nostri asciugamani. Trovava così comiche le nostre espressioni  indignate! Arrivò a casa un venerdì, all'inizio di un weekend pieno di ospiti,  annunciando alla moglie Marella, atterrita: «Dobbiamo vuotare la casa entro  domani a mezzogiorno. La sera arriva Adlai Stevenson (grande intellettuale,  candidato alla presidenza degli Stati Uniti, ndr) e qui solo Mozzoni (che ero  io) parla bene l'inglese».
Era dispettoso persino con i bambini:  a loro riservava spesso pacche e pizzicotti affettuosi, ma non graditi. Forse  neppure Henry Kissinger, che gli parlava al telefono più di ogni altro (salvo i  collaboratori o gli amici come Jas Gawronski, Luca Montezemolo o la sorella  Susanna), poté mai capire che Gianni, al di là di possibili  vizi o debolezze, era un ufficiale di cavalleria del Piemonte: disciplinato,  stoico, ubbidiente al dovere.
Delle abitudini militari aveva anche  conservato una noncuranza per il pudore fisico. Non era certo esibizionista, ma  gli veniva naturale nuotare nudo o chiacchierare tranquillamente con un amico (o  un'amica) disteso nella vasca da bagno. Non l'ho invece mai visto indulgere  dentro un letto.
LA MATTINA CHE LO CAMBIO'
Non gli  piaceva sentir parlare di problemi economici. Se un amico gli chiedeva aiuto, si  muoveva con diplomazia e generosità, spesso di nascosto. Ma la sua proverbiale  impazienza gli impediva di affrontare argomenti che giudicava  negativi.
Ogniqualvolta andava a New York, entrava nel negozio di cani a  Lexington Avenue e ne comperava uno, a volte due, per poi deporli tra le braccia  di Marella: «Ecco, ne ho salvato un altro». Poi ci si affezionava, come  all'husky Dyed Eyes («occhi dipinti») o al mordace Yuki, da cui si fece quasi  staccare una mano. Quello che più mi manca di lui non sono le telefonate  all'alba - «No, non ti preoccupare, ero già sveglia...» - né le tante  straordinarie avventure, ma i suoi commenti sugli avvenimenti, sulle persone,  sulla politica: sempre puntuali, introspettivi e geniali nella loro concisa  esattezza.
Aveva un intuito infallibile, non influenzato da antipatie o  pregiudizi. Aveva rispetto delle cariche, delle caste e del successo. Purché non  fosse macchiato da spocchia, volgarità o atteggiamenti ridicoli. La poca  pazienza che aveva la riservava alla più stretta cerchia familiare. Loro  sapevano non approfittarne, e lui prestava loro orecchio, attenzione e  comprensione. Quando la figlia Margherita per protesta si presentò a casa con la  testa rasata, lui andò con lei a tavola come nulla fosse.
Con Edoardo, il  figlio minore, era più duro: i due caratteri non erano fatti per intendersi, ma  non c'è dubbio che quella terribile mattina - la mattina in cui dovette andare  sotto un viadotto autostradale a riconoscerne il corpo - lo cambiò in modo  silenzioso e definitivo.
Da quel momento avvenne la stessa cosa che avevo  notato in mio padre dopo il suicidio di mio fratello: si lasciò ingrassare, si  vestì con meno cura, spesso lo vidi un po' spettinato malgrado l'attenzione del  suo valletto, l'insostituibile Brunello.
LAPO. L'ALTRO LATO DI  SÈ
Negli ultimi tempi lo aiutò parecchio la presenza dei nipoti  Elkann, Jaki, Lapo e Ginevra. Anni prima, molte incertezze familiari si erano  ricomposte nelle mani di Giovannino, l'erede designato, un giovane bello,  responsabile e malinconico che rappresentava il futuro di famiglia e azienda.
Ma che poi era scomparso in modo tragico e prematuro. Jaki era ancora  più giovane, egualmente coscienzioso e affidabile. Fu scelto per sostituirlo,  con una prontezza che alcuni giudicarono priva di sentimenti: un segno di  continuità e senso del dovere. A questo Jaki si è adattato nel modo  apparentemente più autorevole e naturale.
Lapo è la fantasia, la  spensieratezza, la curiosità sfrenata di vivere, la gentilezza, il piacere  enorme di piacere. In questo Gianni riconosceva l'altro lato di  se stesso. Ginevra è il «collante». Con amore e fermezza, tiene insieme la  famiglia. Ma non è la stessa cosa, ora che non c'è più la persona a cui nessuno  osava dire di no.
 
 
 
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