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sabato 17 novembre 2007

Giorello e Family Day: Disperato bisogno di identità da parte di persone che si trovano un po’ spaventate dalla libertà richiesta da altre persone.

L’intervista a cura di Alteredo che ringraziamo.
(www.alteredo.org) Ragionando di massimi sistemi con il filosofo milanese: politica e religione, diritti civili, caso Welby, fede e ragione, family day: “Penso che la sinistra dovrebbe collocarsi nella grande tradizione dell’Illuminismo: nella rivendicazione dei diritti e in particolare di un diritto, quello della ragione umana di poter liberamente cercare la verità senza dovere chinare la testa di fronte a questa o quella autorità”

Professor Giorello, cominciamo da una premessa generale: l’anno 2007 si è caratterizzato più di ogni altro per i temi che hanno diviso laici e cattolici in politica: è l’anno del caso Welby e del caso Nuvoli, l’anno dei pacs che poi sono diventati dico e poi cus, e l’anno del family day e dello scandalo dei preti pedofili. Tra laici e cattolici abbiamo assistito ad una vera e propria guerra. Ma chi ha iniziato questa Guerra? Rocco Buttiglione, rispondendo a questa domanda, mi ha detto: “Perché i cosiddetti laici si erano abituati ad un tipo di cattolico che aveva paura della sua ombra, che non testimoniava con coraggio la sua fede, e che si guardava continuamente la punta delle scarpe invece di guardarli negli occhi. È cresciuto, con Giovanni Paolo II, un altro tipo di cattolico: un cattolico che rispetta gli altri però chiede rispetto per se stesso, che non ha paura, che è convinto della ragionevolezza della sua fede, e vuole discutere. È partito dal fatto che alcuni (e cita esplicitamente Gianni Vattimo) hanno preso male che questi cattolici vogliono sentirsi cittadini liberi, come tutti. Quelli che si erano abituati ad un cattolicesimo che non aveva il coraggio della propria identità, quelli che erano abituati a pensare che la fede fosse un residuo del tempo passato destinato a scomparire”.
Bene, innanzitutto cominciamo dal dire che ci sono diverse accezioni del termine laicità. Non ho mai creduto a quella che chiamo la favola della secolarizzazione. Le religioni tendono a riemergere anche all’improvviso, anche quando la maggior parte degli intellettuali si aspetta che la dimensione religiosa sia in qualche modo sfocata. E può riemergere non necessariamente con i tratti che aveva nel passato, ma può avere un aspetto nuovo e – come spesso capita – la novità è anche inquietante. Nel largo pubblico, prima della rivoluzione iraniana con Khomeyni, si dava abbastanza per scontato che l’Islam era una costellazione di idee, valori e pratiche arcaiche, destinata ad essere superata da altre modalità del politico e da altre forme di vita. Si pensi al nazionalismo arabo o alla rinascita di alcuni paesi del cosiddetto Terzo Mondo, orientati chi verso il modello capitalistico, chi verso quello socialista. E poi invece c’è stato appunto Khomeyni, la svolta fondamentalistica in Algeria, la rinascita di uno spirito combattivo anche nell’Islam sunnita e non soltanto in quello sciita, oltre a tutta un’altra serie di fenomeni che conosciamo molto bene. Anche in Israele, d’altra parte, se 30 o 40 anni fa lo consideravamo tutti un paese laico, si è scoperto poi che ruolo giochino i partiti religiosi, anche estremisti… Perché non pensare lo stesso anche del Cristianesimo? Perché il Cristianesimo non dovrebbe avere i suoi apparenti momenti di spegnimento e poi una scintilla che porta di nuovo a risplendere ciò che covava sotto la cenere, anche magari provocata da un vento piuttosto effimero? In questo senso le religioni non sono diverse da altre esperienze umane: quante volte abbiamo sentito parlare della morte della filosofia, della morte dell’arte, della fine della storia… Perché dovremmo dare così scontata la morte di Dio? E in questo senso Buttiglione secondo me ha profondamente ragione. Poi c’è da domandarsi se questa forma di risveglio di un cattolicesimo combattivo sia un bene o sia un male.
Alteredo intervista Rocco Buttiglione E ora veniamo all’accezione di laico. Prendiamo uno dei più grandi filosofi dell’Illuminismo e tra le più grandi figure della modernità – che però di solito non viene inserito nei nostri manuali di Storia della Filosofia – che risponde al nome di Thomas Jefferson, uno dei grandi estensori della Dichiarazione di Indipendenza americana. Jefferson, per tutta la sua vita, fin da quando rappresentava gli interessi della sua terra di origine, lo Stato/colonia della Virginia, fino a quando divenne terzo Presidente degli Stati Uniti, aveva ben chiaro un elemento molto significativo: il laico, per Jefferson, è colui che lascia dispiegarsi qualunque dimensione religiosa – sia nel privato ma anche nella sfera pubblica – purché i cittadini di una particolare confessione religiosa non sequestrino dei diritti che sono invece di tutti. Ed è proprio questo il rischio di certe rinascite religiose: di certo cattolicesimo integralista e certo fondamentalismo protestante, per non parlare della deriva estremistica dei paesi musulmani. Sono fenomeni in sé diversissimi ma che hanno una radice comune nel settarismo. E il laico è contro il settarismo, non è contro la religione in quanto tale. Dunque bisognerebbe che la frase di Buttiglione fosse riqualificata in questo modo: quando si ripresentano cattolici, protestanti, musulmani, wooduisti e quello che cavolo vuole, che vogliono sequestrare i diritti degli altri, è compito dei laici intervenire con tutti gli strumenti che hanno a loro disposizione.

Il 2007 è stato soprattutto l’anno dell’infinito dibattito sui Pacs. Cosa lo ha generato? Forse una sorta di effetto Europa, il confronto con gli altri paesi?
Il dibattito sulla natura del matrimonio, della famiglia, dei pari diritti di chi ha relazioni più o meno stabili con altre persone, è un dibattito che va visto all’interno di una cornice – come minimo – europea.
In Italia bisogna ben tener presente che chi si trova in una relazione stabile ma non è riconosciuto nella sfera della cosiddetta “famiglia naturale” (e ci metta un po’ di virgolette a quel naturale), può trovarsi svantaggiato economicamente e magari bloccato a livello giuridico. Dunque, il dibattito sui pacs non riguarda la religione in quanto tale ma è incentrato su un problema di garanzie economiche e giuridiche. È in questa ottica che andrebbe, secondo me, affrontata la questione: la religione non dovrebbe entrarci proprio. Infatti, nessuno impedisce a chi pensa che la famiglia abbia un’origine sacrale e che il matrimonio sia un sacramento, di vivere questa loro convinzione. Ma l’esperienza europea non è andata in questa direzione: ammette che la famiglia non sia perpetua e che il matrimonio non sia altro – dal punto di vista dello Stato – che un semplice contratto. La natura contrattuale del matrimonio è stata rivendicata in Inghilterra nel Seicento dal poeta, per altro puritano e cristianissimo, John Milton. Non da un ateo, dunque. E Milton teorizzava lo scioglimento del contratto – quello che noi chiamiamo tecnicamente divorzio – anche per ragioni di incompatibilità caratteriale. Non esistono contratti eterni, e anche il contratto politico è tutt’altro che eterno: non sarebbe nato Israele, e nemmeno gli Stati Uniti, se il contratto politico non potesse essere rescisso. E anche questo è un insegnamento jeffersoniano.
Anche Gesù è nato fuori dal matrimonio È dunque sul piano delle scelte di vita delle persone che si pone la discussione sui vari pacs e poi dico. E la religione secondo me non c’entra assolutamente nulla: sta su un altro piano. Anzi, se si traduce immediatamente un’esperienza religiosa su un piano politico, si finisce per asservire la spiritualità al mondano. E questo è – secondo me – quanto di più anti-cristiano ci sia.
Poi, quanto al fatto che qualcuno – anche a sinistra, se a sinistra si può dire: diciamo nel Partito Democratico – dica che i pacs non sono urgenti perché sono relativamente poche le persone che ne usufruirebbero, questo è un modo molto curioso di ragionare. Perché, se un domani un governo facesse delle leggi discriminatorie nei confronti di quelli che hanno i capelli rossi – per esempio escludesse dai pubblici uffici quelli che sono di pelo rosso o dicesse che due persone con i capelli rossi non si possono sposare – sarebbe una grave violazione alla libertà individuale anche se la comunità delle persone dotate di capelli rossi è piuttosto piccola rispetto agli altri colori di capigliatura di questo Paese. Quindi, attenzione: se anche si tratta della violazione dei diritti di pochi, non è che la violazione sia poco importante. Bisognerebbe infatti spiegare ai nostri politici che in una società liberale, democratica e aperta, non è che contano solo i numeri, ma conta come bene imprescindibile l’autonomia del singolo. Ed ecco che da questo punto di vista una lezione di sana laicità ci viene da filosofo Karl Popper quando diceva che i primi che devono essere salvaguardati sono proprio i diritti delle minoranze, e la prima minoranza con cui noi abbiamo a che fare è quella fatta da un individuo singolo. Ed è quindi sul piano del singolo che dobbiamo impostare la questione, più che in nome della tradizione sia essa religiosa sia etnica sia linguistica. Questo sì che sembrerebbe un modo tribale di porre la questione. La società aperta nasce proprio dalla dissoluzione del tribalismo. E una delle funzioni principali della democrazia è proprio quella di garanzia contro i ritorni di tribalismo.
Ma oltre a questi argomenti di natura generale abbiamo anche un problema ben più specifico che è l’acuirsi della questione omosessuale. Ho chiesto all’onorevole Franco Grillini quanto questo abbia inciso e lui mi ha dato due diverse letture: 1) esiste una contraddizione non risolvibile tra omosessualità e Chiesa Cattolica. Perché la Chiesa cattolica si basa sulla verità rivelata, si compone di dottrina-tradizione-scrittura, ed è ovvio che la questione omosessuale è contraddittoria con la dottrina con la tradizione e con la scrittura. Non ci possiamo fare niente. 2) Più cresce il ruolo della comunità omosessuale italiana, più esce allo scoperto, e più ovviamente diventa forte la reazione contraria. Perché il pregiudizio, il razzismo, la stupidaggine e l’ignoranza sono ancora molto forti. Quindi Grillini dà alla Chiesa un ruolo di risposta…
Cominciamo dalla prima questione: non so se ci sia una incompatibilità di fondo tra omosessualità e aderenza ai principi della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Rispondano i cattolici su questo: guardino i testi base della loro tradizione e consultino le loro autorità. Non sta a me giudicare su questo punto. Mi pare però che ci siano dei fatti piuttosto curiosi: vorrei ricordare per esempio che nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana le donne sono state curiosamente piuttosto emarginate. Va bene che tirano sempre fuori la figura di Maria Vergine, anche se non credo che la figura della donna possa esaurirsi né nell’essere madre né nell’essere vergine (e tra l’altro essere entrambe le cose è un po’ difficile). Vorrei poi ricordare che altre tradizioni del Cristianesimo, diverse dal Cattolicesimo, sono state molto più aperte per quanto riguarda la questione femminile: la Free Presibiterian Church ordinava donne sacerdote, nel senso funzionale e non solo sacramentale, come è tipico del Protestantesimo, già nel 1911. Mentre nel Cattolicesimo la questione femminile è ancora fortemente problematica. La struttura gerarchica cattolica è basata su una predominanza netta del maschile sul femminile e qualche critico cattivo potrebbe dire che è una struttura tipicamente omosessuale. E non so se questa struttura possa essere la più indicata nel censurare scelte sessuali diverse e prendersela con gli omosessuali. Molte tradizioni religiose – ma non tutte – hanno sempre colpevolizzato gli omosessuali vedendoli come peccatori: a mio avviso sono semplicemente delle persone che hanno dei gusti diversi da altri. E anche per quanto riguarda la questione della famiglia, tutto dipende da cosa si intende con questa nozione: se accettiamo che il concetto di famiglia sia legato alla finalità procreativa, è evidente che due omosessuali non possono formare una famiglia. Ma chi ci dice che una famiglia – intesa nel senso laico del contratto – debba essere per forza indirizzata alla procreazione? Questo non lo dice nessuno. Di nuovo, è una scelta. E come tale è rispettabilissima. Ma se si impone agli altri la propria scelta, questa diventa settarismo, e torniamo al discorso generale di prima.
Dopodiché, secondo me ha fatto benissimo il movimento gay a uscire fuori, a fare outing, e difendere le proprie scelte. E a mostrare che l’omosessualità non è affatto un peccato ma semplicemente una scelta di vita. E ritengo che non sia minimamente responsabile dell’inasprimento moralistico che una certa parte del mondo cattolico ha mostrato nel campo sessuale.
Il caso Welby ci ha fatto iniziare (in ritardo rispetto agli altri) a parlare di eutanasia e testamento biologico… Silvio Viale, medico, e presidente di Exit Italia ha commentato dicendo: “L’argomento è chiaramente tabù. E negli ultimi 10 anni è venuto alla ribalta grazie ai casi concreti. Perché parlare in astratto è difficile, nessuno pensa mai alla morte, alla sofferenza, a quello che potrà capitare. Coloro ai quali capita di affrontare questi argomenti, cercano poi di risolvere i problemi in qualche modo. Negli ultimi 10 anni i casi eclatanti hanno fatto sì che l’opinione pubblica si spostasse. Se negli anni ’80-’90 soltanto il 27-30% degli italiani si dichiarava favorevole – quindi una percentuale ideologica – oggi è il 70% degli italiani a dichiararsi favorevole e i contrari sono scesi al 27%”. C’è stata una rivoluzione, dunque. E anche in questo caso sia la Chiesa che la politica si trovano a rincorrere un fenomeno che avevano sempre ignorato… Lei cosa ne pensa?
Direi che soprattutto la politica si trova fortemente in ritardo rispetto a un cambiamento di sensibilità molto forte, che mi sembra ben colto dalle parole di Silvio Viale con la sua lettura che mi sembra seria e ben documentata.
Uno degli aspetti che forse si dimenticano è che questo è dovuto anche all’impatto della scienza e della tecnologia sulle nostre condizioni di vita, e di morte. L’accanimento terapeutico è frutto anche di una conquista della scienza che ci permette oggi di prolungare l’esistenza anche in condizioni estreme: e questa, di per sé, non è una cosa di cui dobbiamo aver paura. Si tratta poi di gestirla in modo responsabile, questa conquista. E non di lavarsene le mani. E anche qui gioca di nuovo la nozione di responsabilità individuale: quella di Welby è stata la scelta di un individuo coraggioso e responsabile. E da questo punto di vista mi pare un caso esemplare: né Dio né uno Stato deve impicciarsi nel modo in cui io decido di morire. Per quanto riguarda Dio, si tratta di un dialogo tra lui e la coscienza del singolo quello che conta, e non dell’intromissione di una struttura esterna, nemmeno di una burocrazia religiosa.
Sul piano pratico – capisco che questa visione individualista estrema possa sembrare troppo radicale – una buona garanzia potrebbe essere data a tutti da una ragionevole legge sul living will, cioè su quello che è stato mal tradotto in italiano come testamento biologico. Recentemente ho visto delle proposte estremamente condivisibili formulate da Umberto Veronesi ma non so se le nostre forze politiche hanno il coraggio di affrontare temi così difficili, perché questi sono tempi in cui è necessario trovare un equilibrio di ragioni contrapposte… anche tenendo conto della sensibilità dell’opinione pubblica cattolica, che tra l’altro su questo aspetto non è affatto compatta ma estremamente variegata.
Capisco sia un compito difficile ma penso che un politico vero dovrebbe occuparsi di questi problemi di vita civile seri e difficili, invece pare che si divertano di più a discutere del Partito Democratico o di Mastella, piuttosto che di Berlusconi… Però questo secondo tipo di politica, a me non interessa. Una politica che facesse i conti con il comitato scientifico del nostro Paese, invece, mi interesserebbe. Una politica che si occupasse di un rinnovamento vero della scuola di ogni ordine e grado, compresa l’Università, mi interesserebbe. Ma non è questo che leggo sui giornali o che vedo in televisione.

Lei giustamente ha citato il lungo dibattito sul Partito Democratico. Riguardo a questo c’è un aspetto tutto italiano che mi ha sempre incuriosito tantissimo: il fenomeno dei teodem e di Paola Binetti. Chi sono, politicamente, i teodem? Nel resto del mondo esistono i teocon, e stanno tutti a destra. Solo noi abbiamo la versione “di sinistra”, i teodem appunto… Sono andato a chiedere spiegazioni al principale interessato, che è appunto Paola Binetti, che mi ha risposto: “La nuova sinistra, senza più Marx, senza più materialismo, è la nostra del cattolicesimo sociale. Non c’è altro”.
ntanto, il mondo cristiano è un mondo estremamente variegato. E anche il sottoinsieme del Cattolicesimo è altrettanto diversificato e variegato. Penso a grandi prese di posizione politica contro l’oppressione, contro lo sfruttamento, contro l’imperialismo, che provengono da grandi figure di teologi e di vescovi della Chiesa Cattolica. In America latina, per esempio. E penso al teologo della liberazione Leonardo Boff in Brasile. Penso al vescovo Romero in Salvador, che ha pagato con la vita il suo coraggio. Come si fa a dire che un cattolicesimo di sinistra esiste sono in Italia? Però bisogna stare attenti a come usiamo le parole: penso che la Teologia della Liberazione e le posizioni coraggiose contro le dittature prese da rappresentanti di spicco della Chiesa Cattolica, siano stati un bellissimo esempio di impegno civile. Ma più che di sinistra lo chiamerei un cattolicesimo libertario, estremamente importante. E tra l’altro non sempre Roma, nel senso del Vaticano, lo ha guardato con simpatia.
Quanto ai cristiano-sociali italiani, il loro mi sembra un fenomeno piuttosto provinciale e non lo considero così importante a livello del dibattito internazionale e della dimensione europea. In Italia invece sono importanti perché da noi si sono unite – talvolta in modo curioso – due tradizioni per molti aspetti ostili alla tradizione liberale: un certo tipo di socialismo di certe aree del Partito Comunista, e un certo cattolicesimo che guarda, sì, alle questioni sociali, però con poco rispetto per l’autonomia individuale. Si tratta di un mix di culture che io non amo, e non nutro un eccessivo entusiasmo nemmeno per Don Milani, se devo essere sincero. Non amo l’enfasi cristiano-sociale sugli svantaggiati: non vedo perché gli svantaggiati debbano essere in assoluto privilegiati nella valutazione delle utilità dei vari individui coinvolti nell’interazione sociale. Quindi ritengo che sia meglio optare per un sano liberalismo piuttosto che per le posizioni cristiano-sociali.
Non so se questa è la sinistra… Se la vera sinistra è questa qui, beh, allora me ne vado: do le dimissioni dalla sinistra. Penso invece che la sinistra dovrebbe collocarsi nella grande tradizione dell’Illuminismo: nella rivendicazione dei diritti e in particolare di un diritto, quello della ragione umana di poter liberamente cercare la verità senza dovere chinare la testa di fronte a questa o quella autorità. Se vogliamo dirlo in un altro modo: il diritto di donne e uomini di perseguire la felicità a loro modo, senza doversi mettere in ginocchio di fronte a qualsiasi Dio. Come diceva il grande profeta protestante scozzese John Knox: “Possiamo anche prendere in piedi la cena del Signore”, e parlava ovviamente dell’eucarestia. Ciò vuol dire che si può coltivare la propria esperienza di fede e grazia anche rimanendo in piedi… senza inginocchiarsi.

Lei ha usato il termine “ragionevolezza”. Ed è un termine che, recentemente, così come è accaduto per la patola “laicità”, è stato anche preso dall’altra parte. Si parla di ragionevolezza della fede ed è a mio parere la nuova frontiera della confusione linguistica e intellettuale, e la punta di diamante della filosofia ratzingeriana. Paola Binetti cita per esempio la Fides et Ratio e Benedetto XVI che si appella alla razionalità laicale “che rende tutti noi molto più duttili nel dialogo e nella comprensione reciproca”. Che succede, la Chiesa perde colpi e cerca di rientrare dalla finestra (quella della “ragione”)?
Sinceramente, non riesco a trovare nella Fides et Ratio una grande valutazione della razionalità. Perché si tratta di una razionalità sempre vincolata alla necessità di trovare un fondamentum inconcussum, come recita il latino di quel testo. Io sono abituato ad un altro tipo di razionalità: quella scientifica, dove liberamente può dispiegarsi il conflitto delle opinioni, dove non ci sono altre autorità se non quelle dell’esperienza della buona matematica, dove le verità di oggi possono diventare le bugie di domani, andando quindi oltre il livello raggiunto, dove le fondamenta inconcussa non si raggiungono mai, e dove le soluzioni trovate portano anche delle utilità alle persone. Quando ci sono gli tsunami, sarà interessante che la gente si metta in ginocchio a pregare Dio o Allah o quello che vuole, ma la cosa migliore secondo me è cominciare a studiare la tettonica a zolle, la dinamica delle acque, ecc… in modo da predisporre degli apparati tecnologici che possano impedire il riprodursi di queste disgrazie.

Ultima domanda: come ha letto il fenomeno del Family Day?
Come un disperato bisogno di identità da parte di persone che si trovano un po’ spaventate dalla libertà richiesta da altre persone. Quindi come un fenomeno essenzialmente dettato dalla paura e dal bisogno di rivalsa. Non ho una grande simpatia per quelli del Family Day...
E se da questo viene fuori una politica settaria, sono dell’idea che sia necessario rispondere con tutti gli strumenti che sono a disposizione di donne e uomini che preferiscono invece essere liberi.

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