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domenica 29 giugno 2008

Il baule di zinco, romanzo d’esordio di un’energica signora di 85 anni.

Il baule di zinco
(Panorama) “‘Smetti di giocare a bridge, siediti a un tavolino e scrivi’: così mi ripeteva sempre una mia amica” racconta a Panorama.it Cesarina Minoli, che a 85 anni ha appena pubblicato il suo primo romanzo, Il baule di zinco, edito da Campanotto. “Io, in verità, non avevo mai pensato né di scrivere né di pubblicare un romanzo” spiega “Poi però accarezzai l’idea di comporre una storia di cui per tanto tempo avevo conservato i frammenti”.

Quella storia, Minoli l’aveva raccolta dopo la morte della madre, quando scoprì in un comò “quattro cassetti traboccanti di carte, atti notarili, documenti, bilanci, contabilità, di tre generazioni”. “Non sapremo mai” scrive Minoli all’inizio del suo romanzo “come riuscì a conservarle per tanti anni, né il motivo di quel silenzio”. Fatto sta che quel silenzio è ora rotto.
Dopo essere state chiuse da Minoli per altri vent’anni in un baule (di zinco, appunto), quelle carte e quelle storie sono ora state organizzate in un racconto che attraversa il tempo tra nonni, genitori e figli. In un albero genealogico che percorre un secolo di storia d’Italia, mentre le grandi vicende politiche si ripercuotono sulle vicende quotidiane dei protagonisti. Alle pagine scritte dall’autrice si aggiungono lettere, poesie e fotografie, in un continuo mutare di registo tra dolori, amori e passioni.
Quando ha deciso che quelle carte sarebbero diventate un romanzo?
Intanto, bisogna dire che forse non si tratta nemmeno di un romanzo. È senz’altro un percorso attraverso la memoria. Ma qualcuno mi ha accusata di non aver saputo fare la romanziera nel senso più stretto del termine. Qualcuno ritiene che nelle mie pagine manchi la giusta distanza emotiva tra le vicende che racconto e e quelle che ho vissuto. Ma d’altra parte, il coinvolgimento era inevitabile. Ho sentito la necessità di scrivere di quelle persone proprio perché le conoscevo bene. E perché, dopo aver letto tutte quelle carte, mi sono accorta di aver conosciuto ancora più in profondità i miei genitori, i miei nonni, i miei bisnonni. Quanto al momento preciso in cui ho deciso di scrivere il libro, non saprei definirlo. Forse mi è venuto naturale farlo nel momento in cui la mia vita è diventata un po’ meno turbolenta: dopo tre figlie da crescere, un divorzio e i vari cambi di casa tra Torino e New York, in tutta la mia esistenza non avevo mai avuto il tempo di concentrarmi su un lavoro come questo.
Cosa ha provato scrivendo il libro?
È stata un’esperienza completamente nuova. In precedenza avevo fatto delle traduzioni, avevo scritto qualche articolo, ma mi sono resa conto che la narrativa è tutt’altra cosa. Così è stato piacevole scoprire che c’erano tante cose che non sapevo, e che ho imparato scrivendo. Ho capito che la scrittura ha un importante riflesso su se stessi. E che il meccanismo dello scrivere incamera più che altro il nostro mondo irrazionale: è un processo che parte dall’intuizione, passa attraverso l’elaborazione e poi prende forma sulla pagina. Ho imparato anche quanto la scrittura possa essere un’attività gioiosa e al contempo carica di dubbi.
Un esordio letterario a 85 anni, e senza aver mai avuto il sogno nel cassetto di diventare scrittrice: un caso abbastanza anomalo…
James Hilman, ne La forza del carattere (edito da Adelphi, ndr), sostiene che quando si diventa vecchi si è più leggeri e meno responsabili perché si è consapevoli che qualsiasi cosa si stia facendo, finirà presto. Forse è per questo che mi è venuta fuori questa creatività che non pensavo di avere. Dopo aver concluso il romanzo mi sono sentita più che altro liberata: dalla fatica della scrittura e anche da questa storia che finalmente ha preso una forma organica. Poi però mi sono accorta che avevo ancora delle cose da dire. E non escludo che possa presto iniziare a scrivere un secondo romanzo.

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