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martedì 27 novembre 2007

Afghanistan: com’è brutto il mondo visto da dietro un burka.

Panorama) “Si conosce il valore della libertà solo quando si è rimasti in prigione per almeno un minuto”. Parola di Jamila Mujahed, una delle più note e impegnate giornaliste afghane, in Italia in questi giorni per la presentazione di “Burka!” (Donzelli), volume ironico e tagliente sulla vita quotidiana a Kabul, frutto del lavoro a quattro mani con l’illustratrice Simona Bassano di Tufillo.

Jamila è stata la prima giornalista ad annunciare da Radio Kabul la caduta del regime dei Talebani. E per l’occasione è stata anche la prima donna ad apparire pubblicamente senza burka. Cresciuta in una famiglia aperta, non era mai stata costretta a coprirsi con quell’ “orrendo abito-prigione”, fino a quando non sono arrivati i Talebani, appunto: “Non l’avevo mai indossato - spiega a Panorama.it - Così, ne presi in prestito uno dalla mia vicina di casa, chiedendole anche il favore di aiutarmi ad indossarlo. Subito mi sembrò come se il mondo intero a un tratto si facesse buio. La rete davanti agli occhi mi faceva vedere tutto sfocato. Mi sentivo piccola e perdevo il senso della mia persona”. E così per cinque lunghi anni.

“Quando i talebani sono stati scacciati da Kabul, mi sono sentita subito libera e ho pensato che finalmente il mondo mi sorrideva di nuovo”. Un’illusione durata poco, però. Nonostante le prime elezioni democratiche e l’adozione di una costituzione per molti versi avanzata, nel paese il clima è rimasto pesante: “In Parlamento siedono molti comandanti che in questi anni hanno fomentato la guerra. In quanto a libertà e rispetto dei diritti umani, molti di loro non sono per niente diversi dai Talebani”. Jamila Mujahed parla anche di Daniele Paladini, il maresciallo capo del secondo reggimento pontieri di Piacenza ucciso sabato scorso in Afghanistan: “ha rappresentato l’Italia in Afghanistan e la sua morte ha rafforzato l’amicizia fra i nostri paesi. Noi saremo sempre orgogliosi anche di lui per il sangue che ha versato e per ciò che gli italiani stanno facendo”.

Mujahed racconta una nazione ancora lacerata, dove è più che mai difficile perseguire la libertà di informazione. “Spesso non posso scrivere un briciolo di quello che penso. Almeno fino quando non ci sarà sicurezza non potrò farlo”.

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In tutta questa instabilità, le donne continuano ad essere vittime di violenza e profonde disparità: “In molte regioni dell’Afghanistan e nella stessa Kabul non c’è stato nessun miglioramento. Di recente una quattordicenne è stata ’scambiata’ con il cane di un comandante. Molte altre si bruciano o si gettano nei fiumi perché non riescono a sopportare tutte queste pressioni. Spesso non sono neanche a conoscenza dei diritti garantiti dalla Costituzione”. Ecco perché Jamila Mujahed è ora più che mai impegnata nella sua battaglia di sensibilizzazione: “Dirigo l’unico settimanale femminile del paese e dedico molto del mio tempo a The Voice of Afghan Women’s Association and Radio. Proviamo a smuovere la coscienza delle donne afghane, attraverso una radio, corsi, conferenze. Ma per vincere questa battaglia c’è bisogno di non essere lasciate sole dal mondo occidentale”, dice Jamila ricordando un proverbio tradizionale afghano: “Quando vuoi andare da qualche parte, se il tuo cuore lo vuole davvero, il tuo piede è più veloce”.

LA GALLERY TRATTA DA BURKA!

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