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mercoledì 20 agosto 2008

Olimpiadi. Ma i trans sono atleti "dopati"?

Niente affatto: la transizione dal genere maschile a quello femminile è un handicap, non un aiuto.

(Sandra Tognarini - Affari italiani) La trentesima puntata di “Generi” è dedicata alle Olimpiadi di Pechino. O, meglio, alla querelle che riguarda la partecipazione alle varie gare delle persone transessuali (molti giornalisti sportivi continuano a definirle, chissà perché, “ermafroditi”...).

C’è chi ritiene che la condizione transessuale costituisca un “aiuto”, una sorta di doping. Ciò non corrisponde alla realtà.
Se si considera l’abnorme sviluppo muscolare delle atlete della ex Germania Est, imbottite negli anni Settanta di testosterone (quasi certamente sempre contro la loro volontà), è ovvio che una donna genetica, sottoposta a una cura mascolinizzante, subirebbe uno sviluppo muscolare impensabile per la condizione femminile standard. Tale sviluppo, però, a parità di peso, sarebbe sempre inferiore a quello di un uomo genetico sottoposto allo stesso tipo di allenamento.
In occasione delle Olimpiadi di Pechino, si parla soprattutto dei casi della judoka brasiliana Edinanci Silva e della keniana Pamela Jelimo, regina annunciata degli 800 metri nell’atletica (che, dicono, non rilascia mai interviste perché “avrebbe” una voce da uomo).

Nel caso di Pamela Jelimo, si è in presenza di un pettegolezzo: l’ipotesi di transessualità si basa soltanto sulla sua voce. Un pregiudizio duro a morire, per il quale tutte le transessuali “devono” conservare una voce da baritono. Sì, certo, di voci baritonali se ne sentono ancora. Ma meno di prima. Chi transiziona in giovanissima età, ha adesso ottime possibilità di non scurire la voce. E poi ci sono dei nuovi corsi di fonetica che aiutano a femminilizzare la propria tonalità. Insomma, non è valida l’equazione trans = voce cavernosa. Anche perché ci sono moltissime donne genetiche con la voce più maschile di molte transessuali. E anche di molti uomini. Il “gossip” in questo caso è soltanto virtuale: Pamela Jelimo potrebbe essere vittima dell’invidia delle avversarie per i suoi successi sportivi. Con tanti saluti a De Coubertin.

La transizione di Edinanci Silva è invece stata ammessa dalla diretta interessata. Il fatto è che, dal punto di vista delle prestazioni sportive, la transizione dal genere maschile a quello femminile costituisce un handicap, non un aiuto. Almeno per quanto riguarda gli sport che richiedono sforzi prolungati.
Se un soggetto maschile (per DNA) viene infatti sottoposto a cura estrogenica, si assiste con il tempo a una redistribuzione dell’adipe, ma, se l’attività fisica rimane costante rispetto al passato, anche a una inevitabile riduzione della massa muscolare. Tutto questo su uno scheletro che non subisce alcun cambiamento. Ciò significa che una transessuale, a parità di peso con una donna genetica, ha una “zavorra” ossea maggiore e raggiunge con più difficoltà una massa muscolare tale da poter “tenere in piedi” lo scheletro.

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