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martedì 9 ottobre 2007

Milano è molto mini.

La stampa americana fa quadrato e costringe a strizzare le sfilate in 4 giorni. Gli stilisti italiani non sanno far fronte comune. Firenze insidia il ruolo di capitale della moda. E la bravura dei designer non basta più.


(Valeria Palermi - L'Espresso) Il diavolo vestiva Prada, ma si è stufato. La moda italiana fa spazientire Anna Wintour, direttore di 'Vogue' Usa e frontwoman di tutta la potente stampa americana. Che a Milano, per le sfilate, vuole fermarsi il meno possibile. Altro che da bere, si fa proprio fatica a digerirla: così le giornate di Milano diventano quattro, massimo quattro e mezzo, in cui concentrare la maggior parte delle 233 collezioni in calendario. Una media esagerata anche per i più scatenati dei fashion victim. E fa quasi tenerezza l'affanno della Camera della Moda che ha tirato fuori dal cilindro il Progetto Enjoy-Milano. In sostanza, ai 2.500 giornalisti e 15 mila buyer arrivati si è offerto: aperture straordinarie di musei e boutique e possibilità di cenare fino a mezzanotte (però!) in alcuni ristoranti; divanetti in Galleria; panchine-relax e decorazioni temporanee. E poi la mostra su Vivienne Westwood a Palazzo Reale, che è curata dal Victoria & Albert Museum di Londra e gira il mondo da tre anni, quindi tutti questi stranieri magari l'hanno già vista. Enjoy Milano, come no.

In realtà gli americani, impegnatissimi a sostenere la moda di casa loro ai danni di quella italiana e francese, ci hanno provato anche con i transalpini a chiedere di fare un po' più alla svelta. Ma mentre da noi la risposta ufficiale è stata 'No', e quella effettiva che gli stilisti si sono ammassati nei pochi giorni in cui la Wintour era a Milano, da Parigi hanno detto 'Non', anzi siccome siamo francesi e un po' dispettosi, spalmiamo i big su tutto il calendario, da Christian Dior il 1 ottobre a Louis Vuitton il 7 sera. Se Madame non si ferma, tant pis. Del resto loro hanno Sarkoléon, noi no. Insomma, gli stilisti italiani sbracano, e forse se la meritano la perfida lettera di Anna che li ringrazia per essere stati così bravi, quest'anno, a strizzarsi in quattro giorni, ci avete fatto risparmiare tanti dollari di albergo, magari l'anno prossimo ce la farete in tre giorni?
Magari sì. Perché diversi nomi italiani hanno già lasciato Milano, e sfilano altrove. Le preferiscono Parigi Miu Miu e il golden boy Giambattista Valli; New York Miss Sixty, Diesel, Malo, Philosophy.
Fosse l'unico guaio di Milano. Invece no. Perché Firenze sta affilando le unghie, e l'ultima mossa di quei maledetti toscani di Pitti Immagine può farle altri danni: alla prossima edizione di Pitti Uomo (dal 9 al 12 gennaio 2008) alla Dogana debutterà un nuovo salone, 'Pitti W_Woman Precollection', dove 40 aziende internazionali presenteranno le loro precollezioni, quei 'trailer' delle collezioni vere e proprie su cui ormai i compratori decidono il 70-80 per cento dei loro acquisti. E questo, ovviamente, rischia col tempo di rendere sempre meno significative le sfilate milanesi.

E peccato, però, perché la moda vista a Milano era bella e piena di idee, dai grandi che tornano a disegnare una donna di fascino capace di sedurre senza necessariamente denudarsi, e una nuova generazione di talenti italiani che sta riuscendo quasi miracolosamente a non farsi soffocare dai vecchi leoni, fermamente intenzionati a non farsi da parte. Ha stupito per l'ennesima volta Prada, alle prese con le sue visioni perfino troppo profetiche sulla moda, e Raf Simons per la grazia trasparente in cui ha scaldato il marchio Jil Sander. Ha incantato la sensualità dolce delle donne di Armani, Marras, Cavalli, Missoni, l'ultimo Ferré; la classe assoluta di quelle viste da Bottega Veneta, Ferragamo, Fendi e Trussardi; la ieraticità delle vestali immaginate da Alberta Ferretti, il nuovo lusso arrogante di Burberry Prorsum e John Richmond, lo charme nervoso e contemporaneo di Max Mara, la freschezza irresistibile delle ragazze di Blumarine e Moschino Cheap & Chic. E la bellezza drammatica e imperiosa delle divine creature di Frida Giannini per Gucci, e di Donatella Versace. Milano non valorizza abbastanza la sua moda? Ci penserà il red carpet.

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