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giovedì 7 agosto 2008

Stupro. Quando la violenza diventa poi malattia.

La vittima di uno stupro

(Paola Ciccioli - Panorama) “È giusto che la gente sappia cosa vuol dire aver subito una violenza sessuale. Perché non sono soltanto lacrime e botte: quello, purtroppo, è solo l’inizio”. Il dopo è una lunga scia di pena e malattia: su questo chiede di riflettere la madre di Valentina, la ragazza di 29 anni che il 12 luglio si è uccisa a Torino dopo che le erano stati violati “anima e corpo”. Sei anni, per lei, è durato il buio dell’infelicità, diventato un peso insopportabile di cui disfarsi insieme con la vita (vedere il riquadro a destra).

“Che ci sia una relazione molto forte tra la violenza sessuale e il tentato suicidio è certo” afferma Patrizia Romito, docente del dipartimento di psicologia dell’Università di Trieste. Una ricerca recente, ancora in fase di elaborazione e di cui Panorama anticipa le conclusioni salienti, mette in rapporto diretto la violenza sessuale con l’impulso a suicidarsi e alcuni distubi psicologici con cui la vittima deve fare i conti dopo.

E il dopo è malattia, perché essere violati significa “avere una vita resa molto più difficile”, “soffrire per ferite che restano aperte a lungo” e, nei casi più gravi, essere piegati da “danni che non si recuperano”. Tutto questo va sotto il nome di: tentato suicidio o ricorrente desiderio di morte, depressione, attacchi di panico, abuso di alcol, problemi alimentari come bulimia e anoressia. “La nostra ricerca documenta l’effetto diretto dello stupro su ciascuno di tali indicatori di salute” spiega Romito. Lo studio è stato promosso dalla Commisione regionale per le pari opportunità del Friuli Venezia Giulia e ha interessato 627 studenti e studentesse di 14 tra licei, istituti tecnici e professionali della regione.

Tra le ragazze che hanno subito violenza o molestia sessuale l’11 per cento ha tentato di uccidersi, mentre i tentativi di suicidio sono del 3 per cento per chi non ha dovuto affrontare questa esperienza. La fantasia di volersi togliere la vita riguarda ben 48 under 20 su 100, sempre limitandosi a coloro che hanno dovuto affrontare la violenza, mentre le altre pensano a farla finita nel 28 per cento dei casi. Sempre tra le studentesse abusate, il 55 per cento ha dichiarato di avere attacchi di panico (il 38 per cento è la percentuale delle non abusate) e addirittura il 65 per cento dice di soffrire di depressione (la percentuale scende al 43 per le compagne). Il questionario mirava anche a mettere in evidenza quale sia la percezione della violenza in famiglia da parte dei giovanissimi, in tutte le sue declinazioni.

Ne è emerso che l’8 per cento degli intervistati ha visto in più occasioni il padre mentre picchiava la madre. Il 10 per cento delle ragazze con una esperienza di coppia (e il 3 dei loro compagni maschi), poi, ha subito gravi maltrattamenti dal giovane partner. Mentre il 27 per cento delle studentesse, appunto, ha conosciuto su di sé la ferita delle molestie sessuali o dello stupro. “Contrariamente al pregiudizio sociale secondo cui le donne gridano allo stupro quando invece non è successo niente” ammonisce Romito “le ragazze non riescono a riconoscere come tale ciò che invece è reato per il Codice penale”. L’esempio classico? La violenza sessuale compiuta dal fidanzato. “Dato che sto con lui, che ci sono uscita, che l’ho baciato…” si ripete tra sé e sé la vittima, senza però andare fino in fondo al proprio disgusto e dare il giusto nome a un rapporto intimo subito e destinato a creare una voragine nel profondo.

Il pregiudizio accoglie spesso le vittime, che con un comportamento freddo e in apparenza indifferente vanno a farsi visitare al pronto soccorso o si presentano in questura per la denuncia. “Quella freddezza può essere sintomo di una grande forma di sofferenza” mette in guardia Romito, che è autrice del volume Un silenzio assordante. La violenza occultata su donne e minori (Angeli Editore), tradotto in varie lingue.

Tra le conseguenze a breve e lungo termine dello stupro ci sono infatti due sintomatologie di segno opposto: “Da una parte la cosiddetta sindrome post traumatica da stress, che significa ansia, attacchi di panico, impossibilità di liberarsi del ricordo dell’abuso, incubi, agitazione. Il suo opposto, altrettanto grave, è la paralisi delle reazioni e delle emozioni”.

Prima della ricerca condotta sugli studenti medi del Friuli Venezia Giulia, la docente di Trieste ha svolto un altro studio, pubblicato nel 2007 dalla rivista Social science & medicine, per valutare l’impatto sulla salute psicologica della violenza tra gli studenti universitari: 502 gli intervistati, maschi e femmine, al massimo di 25 anni. Dall’indagine è emerso che il 20 per cento delle universitarie ha dichiarato di avere conosciuto lo stupro o di avere subito violenza grave. I maschi, non certo immuni dagli abusi sessuali, come si vede dalla tabella a pagina 60, sembrano reagire meglio al trauma, ma fanno registrare un maggiore ricorso all’alcol (con gli incidenti stradali a esso collegati).

“Siamo arrivati molto tardi a studiare le conseguenze dello stupro” conclude Romito. “Ci è voluta la conferenza dell’Onu sulle donne a Pechino perché, in Europa, si pubblicasse nel 2002 lo studio Enveff (Enquête nationale sur la violence enver les femmes en France) secondo cui nei primi 12 mesi successivi all’abuso sessuale le donne hanno un rischio 26 volte superiore di suicidarsi”.

Sbagliato, però, parlare di ripercussioni permanenti: “Sì, le ferite sono gravi, ma poi la maggior parte delle donne le supera. Gli stupri sono così frequenti che se così non fosse saremmo in tante in una condizione di disabilità. Con l’aiuto di chi ci ama, qualche volta con il ricorso a una guida professionale, di sicuro con il passare del tempo, le ferite possono rimarginarsi”.

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