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venerdì 21 dicembre 2007

Le coppie di fatto snobbano i "Pacs" padovani. Lo sottoscrivono solo 23 su 2.500. Crollano i matrimoni: 858, mai così pochi.

I primi. Era il 3 febbraio quando Giorgio Perissinotto e Tommaso Grandis firmarono i certificati.

(Alberto Rodighiero - Il Corriere del veneto) Matrimoni mai così in basso, boom di convivenze, ma quasi nessuno un sottoscrive i pacs alla padovana. Che i fiori d'arancio siano un istituto in crisi, dagli anni Ottanta è dato quasi per scontato. A confermalo ancora una volta è l'Annuario statistico 2006 che fotografa impietosamente la «situazione matrimoniale cittadina».

«I matrimoni celebrati in città l'anno scorso- spiega la Capo Settore programmazione Controllo e Statistica Maria Novello che ha curato il dossier di palazzo Moroni-, sono stati 858 e rappresentano il minimo storico registrato da 10 anni questa parte quando la media superava quasi sempre i 1000». Secondo l'annuario 490 coppie (57%) hanno scelto il rito religioso, un tendenza in netta contrazione rispetto al 1997 quando questa opzione era stata scelta dal 73 per cento degli sposi.
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«Certificati da riempire di diritti» . «Numeri che devono farci riflettere».
Gaetano Sirone commenta il «tonfo» dei matrimoni.

«I paladini della famiglia cattolica ci spiegano un giorno sì e l'altro pure che una legislazione che tuteli le coppie di fatto rischia di mettere in crisi il matrimonio- spiega l'assessore al Bilancio-, il dato padovano, che rispecchia una tendenza nazionale, dimostra chiaramente che il matrimonio è in crisi per motivi che nulla hanno a che fare con in cosiddetti pacs. In compenso si registra un'impennata delle convivenze, non si capisce perché queste persone non debbano vedere riconosciuti dei diritti». Anche sulla sostanziale diserzione di massa dei pacs alla padovana da parte dei conviventi l'esponente dello Sdi va giù duro: «Io e il mio partito abbiamo sostenuto con convinzione anche in sede di Conferenza di capigruppo i certificati. Il problema è che se non si riempie di diritti un dispositivo, questo diventa poco appetibile. E'chiaro che quasi nessuno si prende la briga di andare all'anagrafe per sottoscrivere un certificato che poi, a livello pratico, non da quasi nessun vantaggio».

La crisi del matrimonio non coincide però con il venir meno della vita di coppia. Se da una parte le famiglie unipersonali nel 2006 hanno raggiunto il 40 per cento della popolazione residente (38794 persone), dall'altra quelle composte da due persone sono 25.880. «Di queste ultime –aggiunge la Novello-, un 10 per cento, quindi circa 2500 coppie, sono formate da uomini e donne giovani, con un lavoro e senza legami di parentela, quindi con ogni probabilità si tratta di coppie di fatto. Un fenomeno che registra di anno in anno un aumento notevole ». Duemila e cinquecento coppie, 5.000 persone, il 2,5 per cento della popolazione, in pratica un piccolo esercito di coppie etero o omosessuali che decidono di vivere assieme senza sposarsi. A fronte di questo, le coppie conviventi che hanno deciso di sottoscrivere i certificati anagrafici di famiglia affettiva, entrati in vigore ormai da un anno, sono state appena 23.

In pratica meno dello 0,9 per cento, meno di una coppia su 100, sicuramente la cartina tornasole di un dispositivo che si è attestato abbondantemente sotto le aspettative. Fedele specchio della popolazione padovana sono anche i matrimoni che rivelano come nell'81 per cento dei casi i due sposi siano di nazionalità italiana, il 12 per cento di nazionalità mista, mentre solo il 7 per cento sono state le cerimonie in cui entrambi i «nubendi» erano stranieri.

Complice anche la crisi economica e i numerosi divorzi, aumenta sempre più l'età di chi decide di convolare a nozze. L'età media della sposa è di 33,20 anni, mentre quella del futuro marito si attesta sui 36,5 anni. Il regime patrimoniale di separazione dei beni è stato infine scelto dal 62 per cento dei casi. Gli sposi con cittadinanza italiana o dei paesi dell'Unione europea, dell'America o dell'Asia prediligono la separazione dei beni, mentre gli africani, e i cittadini provenienti dai paesi europei che non fanno parte dell'Ue preferiscono la comunione dei beni.

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