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Genova è medaglia d’oro alla Resistenza, già capitale europea della cultura, e storicamente laica, abituata all’incontro fra popoli, culture, individualità differenti. Per questo fin d’ora invitiamo tutta Genova a partecipare alle iniziative e al corteo del Pride nazionale.
Le reti nazionali lgbt registrano l’attribuzione da parte dell’Epoa, associazione degli organizzatori di Pride europei, alla città di Roma dell’Euro Pride 2011. Consapevoli dell’importanza di questo appuntamento nella capitale, sottolineano la necessità che siano condivisi l’impegno organizzativo e le proposte politiche».
In studio, a Milano, con Simona Ventura, storica padrona di casa, due opinionisti fissi presenti in tutte le undici puntate previste: Mara Venier e Luca Giurato. Ci sarà anche una puntata speciale dedicata all’amarcord dell’avventura. I concorrenti partiranno il dieci settembre, separatamente: famosi e non famosi non si dovranno incontrare se non sull’isola solo quando lo decideranno gli autori. Nel 2007 si incontrarono dopo una settimana di permanenza. Le otto persone comuni, selezionate attraverso casting, provengono un po’ da tutt’Italia: ci sono professionisti e donne in carriera, tutti naturalmente di bell’aspetto e dal carattere forte. Anche il pubblico li conoscerà soltanto a trasmissione iniziata: forse nella seconda o terza puntata. La puntata d’esordio si aprirà, come al solito con il traghettamento dei naufraghi sull’isola: dall’elicottero ad uno ad uno saranno catapultati in mare. Il regolamento è simile, almeno nelle prime puntate, a quello dello scorso anno, ma gli autori si riservano di inserire novità ed elementi spettacolari nel corso delle settimane.
Evelyne vive a Maweni, sobborgo d’argilla e lamiera di Malindi, in Kenya. Poche centinaia di metri dai resort a cinque stelle, dalle spiagge bianche miste a saponaria che disegnano la costa, a un palmo dalle “villas” di Casuarina, Mayungo e Mambrui, muri di protezione alti 3 metri e buganvillee. Ed è lei una delle vittime silenziose dell’orco italiano che in questa cittadina un tempo portoghese si macchia di violenze che guai a commetterle in patria.
“Karibuni italiani”, benvenuti. La sua infanzia si sgretola quando diventa “proprietà degli italiani” e in un sol colpo donna, seppure violata. “Il mio si chiama Angelo, viene da Roma” racconta sull’uscio della baracca che divide con la madre e due sorelline. Avrà sì e no 13 anni, anche se come una nenia ripete di averne 18. In fondo spera di trovarsi di fronte a un altro acquirente, magari l’ultimo, pronto a strapparla dall’inferno quotidiano che è la sua esistenza. Pronto a portarla via, laggiù in Italia. “È il mio lavoro” dice con un filo di voce mentre violenta la magliettina rossa incapace di coprire una pancia sospettosamente pronunciata. Al suo fianco c’è la madre, meno di 40 anni e il volto solcato dalle rughe. Un passato da “malaya”, prostituta: sette figli e la convinzione che Evelyne non possa far altro che emulare il suo passato. Prende le mie mani, le guida sulla pelle ancora liscia della figlia e in swahili sibila qualcosa, come a garantire della qualità della merce. “È roba buona, te la sta consegnando” interviene Alì, la nostra guida nei bassifondi di Malindi. Non sono solo le spiagge o la buona cucina ad attrarre gli italiani a Malindi. C’è anche il suo serbatoio umano a buon mercato. Ragazzine e ragazzini a portata di mano, ma soprattutto a rischio zero. “Di bambine come Evelyne ne trovi a centinaia qui” spiega Alì, un tempo trafficante d’eroina a Mombasa, oggi venditore di conchiglie, quattro figli da sfamare. “Gli italiani fanno quello che vogliono, prendono i nostri bambini, li violentano, ne abusano e nessuno fa niente. I poliziotti non intervengono, ogni tanto ne beccano uno sulla spiaggia, si fanno dare un ‘kitu kidogo’, una bustarella di 5 mila scellini (50 euro, ndr), e lo lasciano andare. Però quelli più organizzati, quelli che qui ci vengono da anni, non si fanno trovare. Prendono i bambini e li portano nelle ville che affittano o che hanno comprato. E i genitori lasciano fare, è normale”. In un Paese dove un cameriere riesce a guadagnare 60 euro al mese, e dove secondo le usanze tribali sposarsi a 13 anni è considerato naturale, lo sfruttamento sessuale dei bambini appare fisiologico. E alcuni italiani (2.500 i residenti solo a Malindi, molte migliaia quelli che ogni anno vi si recano in vacanza) ne approfittano. Nero su bianco, c’è un rapporto diffuso dall’Unicef che mette spalle al muro la comunità italiana di Malindi (qui il report in pdf).
Non solo Thailandia, Filippine, Cambogia: il nuovo confine del sesso proibito è qui. Si legge che nel tratto di costa compreso tra Mombasa e Lamu sarebbero 10-15 mila ragazzini e adolescenti fino a 18 anni vittime dello sfruttamento e del turismo sessuale. Il 10 per cento al di sotto dei 12 anni. E gli italiani (il 18 per cento dei clienti) occuperebbero saldamente la prima posizione nella triste classifica delle nazionalità che ne fanno uso e abuso. Prima di tedeschi (14 per cento), svizzeri (12), poi a ruota ugandesi, tanzaniani e britannici. Un mercato a luci rosse accettato dal 75 per cento dei keniani.
Procurarsi un minorenne è semplice. Basta rivolgersi a loro, i beach boy sulla spiaggia, i disperati di Uhuru Park, gli accattoni dei quartieri malfamati. Solerti imprenditori di se stessi, pronti a consegnarti per poche centinaia di scellini una bambina o un bambino, a seconda dei gusti.
La rete sommersa. Oppure frequentare i locali giusti. Le più giovani aspettano fuori. “Italiano? Scopare?”. Ti avvicinano, trucco e vestiti scelti per celare l’età. “Io ci vado tutte le sere” spiega Chris, 13 anni e un rossetto sbavato sulle labbra. “Gli italiani sono i clienti migliori. Pagano fino a 2 mila scellini, quasi 20 euro. Di più senza preservativo. Del resto tu le caramelle mica le mangi con la carta”. Poche battute e l’affare è fatto. Altrimenti, “per le cose fatte bene” come dice Alì “per il servizio a domicilio, pochi rischi e divertimento assicurato”, non resta che votarsi alla “rete”.
“Esiste, eccome, è tutto in mano loro”: Philip Opiyo è un giovane poliziotto a capo della stazione di Malindi. Scuote la testa: “Molti italiani hanno formato negli anni una rete neppure troppo sotterranea che controlla il traffico sessuale dei nostri bambini. Sono imprenditori, proprietari di bar, ristoranti, tour operator. Gli ’shugada’, i pedofili, si rivolgono a loro per avere i piccoli che vengono presi e portati nelle ville. Sappiamo che spesso partono dall’Italia tour organizzati con tanto di ordinazioni. Gli intermediari ci guadagnano e non di rado partecipano ai festini. Noi difficilmente riusciamo a fare qualcosa. In primo luogo perché le ville sono come fortini, blindati, inaccessibili. Secondo perché povertà e corruzione inquinano i nostri uomini”.
Corruzione e rassegnazione. Tesi sostenuta anche da Fred Olouch, giornalista del Nation, il più importante quotidiano del Kenya, da anni in prima linea nella battaglia contro lo sfruttamento dei bambini. “Perché un poliziotto che coglie in flagranza un italiano con un minorenne dovrebbe denunciarlo? Con il suo silenzio guadagna in 5 minuti l’equivalente di mesi di lavoro. Senza considerare che, se anche fa il suo dovere, c’è sempre la possibilità che l’italiano sorpreso con un minorenne la faccia franca corrompendo un giudice o pagando una cauzione di poche decine di migliaia di scellini: niente per le vostre tasche”.
Toni rassegnati come quelli che usa Haman Shambi, una sorta di prefetto della città, per disegnare la cartina e la storia del potere degli italiani a Malindi. “I primi arrivarono qui negli anni 80, ma il boom vero e proprio esplose 10 anni più tardi. Attirati dalla bella vita e dalle belle donne a buon prezzo e, per alcuni di loro, qualche camorrista e brigatista in fuga dall’Italia, dalla certezza di non poter essere estradato”.
Oggi Malindi parla italiano, le insegne e i cartelli stradali sono in due lingue e il tricolore sventola dai palazzi. La comunità si riunisce attorno agli esercizi commerciali: il Bar Bar, il Sultana Cottage, il Baby Marrow. “Sotto sotto qui molti odiano gli italiani” puntualizza Alì. “Ci hanno comprato, fanno quel che vogliono e non puoi ribellarti, non ci metterebbero molto a fartela pagare”. Evelyne, Chris, Maria, Jenny recitano un rosario fatto di nomi e cognomi. E così scopri che nella rete vengono inclusi imprenditori, turisti qualsiasi e gente che qui è venuta per ricominciare una nuova vita, addirittura qualcuno degli storici rappresentanti della comunità italiana.
“È vero, la situazione è gravissima” conferma Robert Nyagah, un tempo giornalista e ora tour operator. “Questo è il regno degli italiani che sfruttano il lassismo delle istituzioni e del governo, delle organizzazioni non governative interessate solo ai fondi della cooperazione internazionale, in un paese dove il turismo, anche in questo periodo di disordini, resta la terza risorsa economica”.
Prostitute in attesa a Malindi
“Nessuna emergenza”. “Non ho niente da dichiarare, gli italiani qui godono di ottima reputazione. Questa storia dei bambini non ha senso. Arrivederci”: Roberto Macrì, console onorario di Malindi, liquida così qualsiasi discussione che sfiori le accuse che molti qui muovono contro i nostri connazionali. “Non c’è alcuna emergenza, queste sono infamie belle e buone contro un’intera comunità che qui è ben vista”. Ma decine di testimonianze, le voci dei bambini, il dito puntato contro degli organi di polizia… “Niente da aggiungere. Arrivederci”. E quel rapporto dell’Unicef? “Figuriamoci. Non ci hanno neppure contattato per sentire il nostro parere, per noi quel dossier non ha alcun valore”. Perché allora non avete affidato a una lettera, a un intervento pubblico, il vostro risentimento contro quello che considerate un affronto? “Non è mio compito. Vi prego di andarvene adesso”.
Diverso il registro di Pierandrea Magistrati, ambasciatore italiano a Nairobi. “Non lo possiamo nascondere, la situazione a Malindi è preoccupante. Più fonti in nostro possesso confermano quanto avete raccolto sul campo in queste settimane, per questo bisogna affrontare seriamente il problema. Dobbiamo promuovere un’efficace azione di cooperazione internazionale del nostro ministero degli Esteri”.
Promessa mantenuta: tutto è pronto al ministero degli Esteri per l’avvio ufficiale di un progetto di cooperazione internazionale per combattere la piaga dello sfruttamento della prostituzione minorile a Malindi. “Il nostro progetto, preparato in collaborazione con Unicef, Ecpat e Cisp, sta per muovere i primi passi” spiega Paola Viero, responsabile dei progetti per i minorenni dell’Unità tecnica centrale del ministero: 1,5 milioni di euro, corsi di formazione per operatori sociali, funzionari di polizia, psicologi. “Per sensibilizzare da un lato le popolazioni locali, sviluppando quella che noi definiamo un’educazione inclusiva, tutta rivolta ai loro piccoli, dall’altro per infittire i rapporti di collaborazione con organi di sicurezza e procure che oggi sono ancora scarsi”. Un modo per agire chirurgicamente sul campo, ma anche per aggirare “quella rete di nostri rappresentanti sparsi per il mondo che troppo spesso si rendono complici silenziosi di questi traffici” puntualizza Viero. Un po’ come è avvenuto per Malindi, se è vero che “proprio nei giorni immediatamente successivi al vostro colloquio con l’ambasciatore Magistrati” prosegue la funzionaria della Farnesina “al ministero è arrivato un telegramma a sua firma che chiedeva immediati provvedimenti per contrastare l’emergenza pedofilia sulla costa keniana”.
La guerra all’orco. Sono almeno una ventina i progetti di cooperazione internazionale attivati dalla Farnesina negli ultimi 10 anni: 20 milioni di euro investiti a partire dal 1998. Un’azione capillare riconosciuta dal Consiglio d’Europa che lo scorso anno, in occasione della firma della Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, “ha individuato nell’Italia l’avanguardia dei progetti di cooperazione a livello europeo” ricorda Paola Viero. “Siamo sulla strada giusta” è il commento di Marco Scarpati, presidente della sezione italiana dell’Ecpat (End child prostitution, pornography and trafficking). “Però c’è ancora molto da fare. Il problema è che le leggi italiane contro lo sfruttamento della prostituzione minorile, introdotte nel 1998 e ampliate nel 2006, non bastano. Sebbene siano tra le migliori e più rigide al mondo, mancano di un tassello fondamentale: gli strumenti di raccordo tra le polizie e le procure dei diversi stati. Quando in Italia viene scoperta un’organizzazione criminale che si muove all’estero, la nostra polizia non sa con chi parlarne”.
Opinione condivisa da Antonio Sclavi, presidente dell’Unicef Italia: “Questo gap vanifica ogni sforzo in termini di contrasto allo sfruttamento dei bambini, in più si aggiunga la complicata questione delle prove. Si pensi a quanto può essere difficile portare a testimoniare in Italia un bambino vittima all’estero di violenze sessuali”. Ed è in questa direzione che si inscrivono le ultime iniziative dell’Unicef e dell’Ecpat: sostenere le spese di viaggio e alloggio dei testimoni che si costituiscono parte civile nei processi. “La nostra sfida resta comunque quella di convincere i paesi finiti nella rete della criminalità transfrontaliera a denunciare chi si macchia di reati contro i bambini” precisa Scarpati. “Deve passare il principio secondo il quale la denuncia, in termini di sostegno, aiuti economici, cooperazione, paga più del silenzio”.
Una prostituta a Malindi
L’identikit. Già, la denuncia: un passaggio che spesso resta lettera morta. “Il più delle volte dei nostri connazionali fermati all’estero non si sa proprio niente perché le nostre ambasciate non ne vengono informate” spiega il colonnello Giorgio Manzi, del reparto analisi criminologiche dei carabinieri del Ris di Roma. “E spesso, contrariamente a quanto si possa pensare, sono gli stessi pedofili arrestati a preferire la via del giudizio all’estero, vuoi perché le pene sono meno dure, vuoi perché possono sempre sperare che il giudice applichi il cosiddetto principio della corruzione del maggiorenne. Attenzione, non si tratta di una categoria giuridica vera e propria, ma della diffusa convinzione che l’adulto possa essere, come dire, indotto in tentazione dal minorenne. Vuoi, infine, perché così salvano la loro reputazione in patria”. Non sono invece riuscite a farla franca quelle 30, 40 persone condannate fino a oggi in Italia per turismo sessuale. “Dal primo caso, quello di Roberto Rossinelli, anche noto come “il Thailandese”, condannato nel 1998 a 12 anni, sono alcune decine i pedofili che abbiamo incastrato” continua Manzi. “Ma almeno il doppio hanno subito condanne all’estero”. E questa sarebbe solo la punta visibile: “Dai dati che abbiamo sono centinaia quelli che non vengono mai presi”. C’è da crederci. Secondo i dati forniti dall’Ecpat, sarebbero 80 mila gli italiani che ogni anno si dedicano al turismo sessuale, dei quali il 3 per cento (circa 2.400 persone) alla ricerca di minorenni. Uno scenario sconcertante reso ancora più torbido dall’identikit dei moderni orchi. “Giovani, di età compresa in media tra i 25 e i 27 anni, ricchi o meno abbienti non importa” spiega Manzi. “I viaggi low cost hanno reso accessibili un po’ a tutti le mete turistiche anche più lontane”.
Insospettabili in Italia, non appena varcato il confine queste persone “vengono prese da quella particolare condizione che indichiamo come “craving”, uno stato d’ansia e frustrazione crescente, quasi patologico, alimentato dalla privazione dell’oggetto del desiderio, in questo caso il bambino. E poi ci sono i cosiddetti pedofili di reflusso, persone che in questa società all’insegna della libertà sessuale hanno già provato tutto e cercano nei minorenni l’ultima trasgressione possibile”.
Il miraggio di una vita nuova. In fondo Evelyne, la bambina di Malindi, sa che il sapore amarognolo del marungi, l’erba oppiacea dei poveri della costa keniana, non è altro che un modo per ingannare se stessa e le sue giornate alla luce del sole. Per le notti non c’è niente da fare: bisogna viverle, lavorarle con l’ultimo mzungu, l’uomo bianco di turno, dall’accento italiano ormai maledettamente familiare. L’erba in bocca, i soldi nel pugno, un “grazie” sommesso, rassegnato. Nonostante i 13 anni Evelyne ha capito benissimo il perché le siano stati dati questi 2 mila scellini: per i suoi racconti e “senza mangiare nemmeno la caramella”, come dice lei. L’altra mano è sempre lì, testarda come a tormentare quella magliettina esausta. Di parole come craving, procure, convenzioni internazionali non ha mai sentito parlare e forse mai ne sentirà. Per lei la vita è questa, è sempre stata questa e sembra accettarla così com’è. O forse no, quando ti si avvicina e chiede, apparentemente distratta: “Com’è l’Italia?”. “Karibuni italiani”, benvenuti.
A Inju, la bête dans l'ombre di Barbet Schroeder è andato il Leone speciale per l'insieme dell'opera, mentre alla giovane Jennifer Lawrence del film di Arriaga (The Burning Plain) è andato il Premio Mastroianni come miglior emergente.
Vista la difficoltà nel concordare i premi tra i membri della giuria, Wim Wenders ha chiesto di riconsiderare le regole di premiazione, che proibiscono la sovrapposizione tra i tre premi maggiori. Il suo era un riferimento all'impossibilità di premiare Mickey Rourke con la Coppa Volpi.
(Panorama) La città dei Gonzaga celebra la letteratura internazionale, quella nota e quella meno nota fino al 7 settembre. Il folto elenco degli ospiti (qui in pdf) del Festivaletteratura di Mantova n. 12 rischia di accontentare tutti. Gli amanti del fantasy possono essere soddisfatti con Licia Troisi, autrice de Le cronache del mondo emerso, e Shimon Adaf, ritenuto l’iniziatore del fantasy in lingua ebraica. Chi cerca nomi nuovi ha a disposizione gli spagnoli Bernardo Axtaga e Julio Llamazares, il romeno Mircea Cartarescu, l’islandese Guðrún Eva Mínervudóttir… E per un po’ di giallo dal sapore glaciale ci sono gli scandinavi Maj Sjöwall, autrice con il marito Per Wahloo della serie di polizieschi con protagonista il commissario Martin Beck, Jo Nesbø, Håkan Nesser e il maestro del giallo svedese Leif GW Persson.
Il programma è ricco, e non poteva non includere anche un omaggio a Cesare Pavese, nell’anno del centenario della nascita. Per celebrare lo scrittore torinese si susseguiranno un reading collettivo dei poeti ospiti, una lezione che Eraldo Affinati dedicherà a La casa in collina e lo spettacolo Non fate troppi pettegolezzi portato in scena da Fabrizio Gifuni e Cesare Picco.
Per la prima volta presenti al Festival Jonathan Safran Foer, Nicole Krauss, William
Langewiesche, Eugenio Scalfari, Paolo Villaggio e Sebastian Faulks, nuovo autore delle storie di James Bond. E anche l’inventore del legal thriller, Scott Turow.
Festivaletteratura si apre anche al Medio Oriente, con al centro il Libano, con autrici come Najwa Barakat, Joumana Haddad, Nisrine Ojeil, Rania Zghir. E anche Yael Lerer, coraggiosa editrice di una collana di testi arabi in Israele.
Naturalmente saranno a Mantova anche nomi più immediatamente riconoscibili: Hans Magnus Enzensberger, Gianrico Carofiglio, Daniel Pennac, Michele Serra, Corrado Augias, Carlo Lucarelli, Eric-Emmanuel Schmitt, Jeanette Winterson, Alberto Arbasino, Piergiorgio Odifreddi.
Qui il programma completo del Festival (in pdf).
(Panorama) Tutto inizia dall’inizio. Frase buona per il titolo di un film, ma anche (veltronianamente) per la breve storia del Partito democratico, la sua fondazione, la sua sorprendente crisi prematura. “Tutto inizia dall’inizio” dice a Panorama Arturo Parisi, progettista dell’Ulivo ieri e oppositore interno del Pd di Walter Veltroni oggi. L’ex ministro della Difesa nel centrosinistra è uno dei pochi che possa dire a testa alta: l’avevo detto. Ha dimostrato nuragica durezza nel criticare il ponte di comando del loft e nel chiedere il ritorno del centrosinistra a una rinnovata formula dell’Ulivo. I dialoghi dei consiglieri di Romano Prodi sulle primarie nel Pd, intercettati nell’ambito dell’inchiesta Siemens dalla procura di Bolzano, non lasciano spazio a dubbi politici: il presidente del Consiglio Prodi cercava di contrastare la vittoria annunciata di Veltroni per evitare quella che nei colloqui privati viene chiamata “farsa” del candidato unico, o quasi.
“Invece di candidarsi alla leadership del nuovo partito per succedere poi nella premiership del nuovo governo, Veltroni rovesciò la sequenza, candidandosi immediatamente alla premiership e in quanto tale alla leadership del partito” ricorda Parisi. Ovi e Cavazza parlano delle primarie del Pd nei giorni che precedono l’investitura ufficiale di Veltroni. Prima della discesa in campo di Rosy Bindi ed Enrico Letta, candidati deboli destinati a soccombere al cospetto della macchina elettorale dei Ds e degli ex dc di Franco Marini.
“Nelle prime scelte sta tutto lo sviluppo successivo. Innanzitutto nella sua investitura unanimistica da parte dell’apparato, che riconobbe in lui l’unico candidato spendibile nella gara di popolarità con Silvio Berlusconi, anche se il meno adatto a fondare un partito. E poi nel discorso del Lingotto, che proponeva un programma per un nuovo governo e non un progetto di un partito nuovo. Tutto il resto ne viene di conseguenza” continua Parisi in un flashback che, alla luce degli avvenimenti e delle scelte fatte da Veltroni, è rivelatore degli errori compiuti.
Parisi è un gentiluomo e non dice quali errori ha compiuto Prodi. Il primo, lampante, è non avere ostacolato subito e alla luce del sole la corsa semisolitaria di Veltroni, appoggiando la linea sostenuta da Parisi invece di affidarsi alle sortite spuntate e discutibili dei suoi consiglieri più pratici di business che di politica. Quando discutono del progetto per le primarie, la porta del confronto con Veltroni, duro e spietato come può capitare in politica, è ancora aperta. I Ds inoltre sono nel vortice del caso Unipol: il 22 maggio 2007 Il Giornale apre il caso Visco-Guardia di finanza, mentre a metà luglio 2007 il magistrato di Milano Clementina Forleo trasmette al Parlamento le trascrizioni di 68 delle intercettazioni sulle scalate di Antonveneta, Bnl e Rcs Mediagroup e cita politici della Quercia del calibro di Piero Fassino, Massimo D’Alema e Nicola Latorre, chiedendo di poterle utilizzare.
L’allora maggioranza di centrosinistra è allo sbando, pressata dalle procure di Nord (Milano, inchiesta Unipol) e Sud (Catanzaro, inchiesta Why not), si dibatte in una crisi strisciante. Il procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris iscrive il 13 luglio 2007 Romano Prodi nel registro degli indagati dell’inchiesta Why not e qualche mese dopo, il 14 ottobre 2007 (ironia della sorte, giorno delle primarie del Pd), tra gli indagati finisce anche il ministro della Giustizia, Clemente Mastella.
Ds e Margherita si trovano nel pieno di una tempesta politico-giudiziaria mentre è in corso la delicata costruzione del Pd, le rispettive leadership sono ammaccate e il vento anticasta le travolge. In ordine sparso, e confusamente in cerca d’autore, trovano rabdomanticamente l’uomo della salvezza in Veltroni, ma il sindaco di Roma non vuole avversari e ha un atteggiamento liquidatorio nei confronti del Professore di Bologna. “Dietro il sostegno formale a Prodi c’era la contestazione dei limiti e delle contraddizioni del suo governo” sostiene Parisi. Politicamente si consuma la frattura con la sinistra radicale, il piano secondo Parisi è chiaro: “In vista di una accelerata sostituzione del governo, c’era la separazione consensuale concordata con Fausto Bertinotti, guidata dall’illusione che dividersi da buoni fratelli fosse per ambedue elettoralmente più redditizio che arrivare a un vero confronto su un progetto politico. Mentre Berlusconi portava a ulteriore avanzamento, con le buone e con le cattive, il processo di unificazione del polo di centrodestra iniziato nel 1994, Veltroni metteva fine a quel processo proclamando la discontinuità con i 15 anni della esperienza dell’Ulivo” ricorda l’ex ministro della Difesa.
La rottura dell’esperienza ulivista per Parisi è l’origine della crisi del partito guidato da Veltroni: “Il Pd invece di riproporsi in continuità con l’Ulivo come il baricentro, la guida e il timone del campo di centrosinistra, esattamente come il Pdl nell’altro polo, proponeva la sua parzialità come totalità guidato dall’illusione di battere pressoché in solitudine lo schieramento avverso”.
Lanfranco Tenaglia, ministro ombra della Giustizia del Pd
Il disegno veltroniano fallisce, prima che nell’urna, nelle manovre delle primarie, quando è chiara la volontà di depotenziare i prodiani ed escludere outsider di peso scarsamente controllabili come Marco Pannella e Antonio Di Pietro. Con il senno di poi, la defenestrazione dalle primarie dei radicali e del leader dell’Italia dei valori è stata la premessa degli smarcamenti dei radicali e, nel caso di Di Pietro, della costruzione di una linea alternativa nell’opposizione che oggi drena consensi alla base del Pd ed è una delle ragioni più gravi della crisi di leadership di Veltroni, che nel frattempo ha perso pure Prodi, dimessosi dalla presidenza del Pd alla vigilia delle elezioni.
Il destino con il Pd si diverte a giocare a dadi, i dalemiani che nel 2007, anche sotto la pressione giudiziaria, avevano digerito il boccone amaro della scelta di Veltroni (avversario storico di Massimo D’Alema) si ritrovano di nuovo nel mirino della magistratura.
In questi giorni la procura di Milano ha chiesto nuovamente al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni che riguardano il senatore Nicola Latorre, braccio destro di D’Alema. Riemerge così il fascicolo depositato da Clementina Forleo nel luglio 2007 sul caso Unipol. Veltroni finora non ha voluto ascoltare chi nel centrosinistra chiede un riequilibrio del rapporto tra magistratura e politica e ha scelto di non tagliare il cordone ombelicale con la magistratura associata, come testimonia la nomina dell’ex magistrato Lanfranco Tenaglia a ministro ombra della Giustizia. Veltroni finora aveva tratto vantaggio da questa situazione, ma oggi rischia di pagarne le conseguenze, il gioco infatti sta per sfuggirgli di mano. D’Alema si è sottratto all’abbraccio di Walter e manovra nel partito con l’associazione Red, mentre i prodiani, sempre più esacerbati e solitari, sembrano già con la valigia in mano. Tutto inizia dall’inizio. Anche la fine.
Secondo Hill, che ha ribadito le sue accuse ieri sera nella trasmissione televisiva Beckmann dove è stato invitato come ospite per fornire ulteriori dettagli sulla sua presunta scoperta, almeno tre incontri sarebbero stati “truccati” per favorire un giro di scommesse clandestine, legato alla criminalità organizzata asiatica.
Più precisamente si tratterebbe delle partite degli ottavi di finale Inghilterra-Ecuador e Brasile-Ghana e del quarto di finale Italia-Ucraina, conclusosi col successo degli uomini di Lippi per 3-0. Le presunte combine sarebbero state scoperte in seguito a dichiarazioni rilasciate da alcuni ex nazionali del Ghana, che avrebbero ammesso di essere stati “comprati” per permettere il successo del Brasile con più di due reti di scarto.
Per ora dal numero uno della Fifa, Joseph Blatter, non è arrivata nessuna dichiarazione ufficiale, anche se un suo portavoce ha dichiarato che lo stesso dirigente svizzero ha incontrato Hill e che “si riserverà di rilasciare commenti solo dopo aver ottenuto maggiori dettagli sulla viceda“.