
E quanto ci è stato comunicato dal Comitato promotore di Federica Pezzoli presidente dell'Arcigay di Roma. Non è stata indicata la data del rinvio, tutti gli interessati potranno avere maggiori informazioni nei prossimi giorni sul blog del Comitato.
Lo spiego subito. Il direttore di Libero gioca sulla scarsa conoscenza della legge sull’editoria. Da molti anni esiste una norma che riconosce ai giornali uno sconto sulle tariffe postali. È un provvedimento adottato da tutti i paesi europei e che mira a favorire la lettura e gli abbonamenti. Distribuire costa e gli editori tagliano le diffusioni concentrandosi sulle edicole dove si vende di più e dove arrivare costa di meno. Incentivando gli abbonamenti si consente a chiunque e con minor spesa di ricevere ciò che desidera. Allo sconto hanno diritto tutti i giornali, dunque anche Libero, se non fosse favorito da un privilegio di cui dirò in seguito. Panorama beneficia della tariffa agevolata e per ognuna delle 220 mila copie che spedisce paga 0,36 centesimi, che sono pochi in meno rispetto a quelli versati nei paesi europei per analoghi servizi. Panorama e la Mondadori non incassano 1 euro, semmai i soldi li prendono le Poste, sulla base di una trattativa che fanno con la presidenza del Consiglio. Si può discutere la tariffa agevolata, la si può criticare e perfino abolire, ma si tratta di un aiuto simile a quelli riservati a comparti giudicati utili, per esempio l’autotrasporto o l’agricoltura, cui lo Stato garantisce sgravi o crediti d’imposta, senza distinzioni d’impresa. È insomma un sistema pulito, che non altera la concorrenza, simile agli sconti per chi installa finestre a risparmio energetico o pannelli solari.
Ciò di cui godono i giornali di partito è invece ben diverso. Si tratta di un finanziamento basato sulle spese e che prevede un contributo a piè di lista dell’ordine del 60-70 per cento. In pratica questi quotidiani più spendono e più ricevono. Più copie tirano, anche se non le vendono, e più incassano. Possono perfino permettersi un supplemento, tanto paga Pantalone. Lo Stato è per loro un socio di maggioranza che non ha diritto di voto, ma cui tocca contribuire per due terzi alla spesa. Un sistema chiuso, di cui pochi godono. Per ottenere i quattrini, il giornale deve infatti far capo a un gruppo parlamentare, a un movimento politico o a una cooperativa. Questo è il fondo da cui Libero attinge quasi 8 milioni di euro l’anno (dato riferito al 2006), chiaro? A questo punto qualcuno si domanderà che cosa c’entri il quotidiano di Feltri con i giornali di partito. Niente. C’entra solo per via di un furbo espediente escogitato 8 anni fa, quando Libero fu fondato. Siccome nessun editore era disposto a metterci troppi soldi e Feltri non intendeva rischiare i suoi, qualcuno si ricordò che esisteva un bollettino mensile del Movimento monarchico italiano, Opinioni nuove, registrato fin dal 1964 presso il tribunale di Bolzano. Il periodico era l’organo di un gruppo di amici, quattro gatti, che usciva quando e come poteva, ma riceveva un contributo di 20 milioni di lire l’anno dallo Stato. L’editore di Libero chiese ai monarchici di prendere in affitto la testata in cambio di 100 milioni di lire: un affare per i nostalgici del re, ma soprattutto per Feltri e i suoi, i quali s’inventarono una specie di supplemento quotidiano di Opinioni nuove. In grande si leggeva Libero, in piccolo, ma con la lente d’ingrandimento, la testata del Mmi, quella che aveva diritto ai contributi di Stato. L’Espresso se ne accorse e chiese lumi a Feltri, il quale giurò che avrebbe rinunciato ai finanziamenti. Una promessa dimenticata in fretta, perché appena un anno dopo, compreso che la testata Opinioni nuove era una gallina dalle uova d’oro, Libero chiese ai monarchici di comprarla per 500 milioni di lire. Agli orfani di Casa Savoia parve di sognare: il loro giornalino si rivelava il miglior investimento mai fatto. Perciò si affrettarono a vendere e a investire il ricavato in alcuni negozi a Bolzano. In realtà, il miglior investimento lo ha fatto Libero: chi di voi non pagherebbe 500 milioni di lire una tantum per poi incassare in 7 anni quasi 40 milioni di euro e chissà quanti altri nel futuro? Certo, bisogna riconoscere che, a differenza di altre imprese consimili, almeno quei soldi sono serviti a far nascere un giornale importante. A Feltri va dunque dato atto di aver fatto qualcosa di utile. Ma non deve arrabbiarsi se sorrido di fronte alla sua arrampicata sugli specchi per giustificare il finanziamento pubblico. È uno stile libero che non gli si addice.
In ogni caso la Durex aprirà un temporary store in Corso Garibaldi, in cui venderà i suoi prodotti: secondo quanto riporta Agi, che non si fa sfuggire questa notiziona - e neanche noi, chiaro - saranno messi in vendita anche, oltre ai classici condom, gel stimolanti ed un nuovo lubrificante femminile, utilizzabile anche per massaggi.
Il negozio temporaneo si chiamerà “Better sex, all you need for a better life”. Certo, facendo del sesso migliore la mia esistenza migliorerà, sempre fatto salvo il passo precedente che si menzionava all’inizio del post. In caso contrario, attenzione, si rischia di fare la fine del tunisino di questo vecchio post dal sublime titolo “Onanismo sulle carrozze di un treno“.
A suscitare “rabbia e frustrazione”, spiega Ornella Cameran a nome delle sue colleghe, è il modo in cui vengono trattati i lavoratori “con la scusa della flessibilità. Una parola che abbiamo conosciuto da vicino”. Dall’ospedale non si aspettano un ripensamento. “Ci hanno detto che gli dispiace e che non c’è soluzione. Di stabilizzarci si era parlato tempo addietro, mai seriamente. Poi la cosa era sfumata. Troppo costoso”, raccontano. Da ieri “ci hanno detto che il call center dell’ospedale è stato affidato ad alcuni dipendenti dell’ospedale destinati temporaneamente a questo compito in attesa di una soluzione”. Che potrebbe essere, a quanto ha appreso una ex centralinista, “quella di affidare il servizio a un call center siciliano che già si occupa del numero regionale 803000 per la prenotazione delle prime visite mediche”.
Secondo le Rdb Cub pubblico impiego, la vicenda che ora coinvolge le lavoratrici di Legnano, e che rischia di interessare tutti i call center sanitari della Regione Lombardia, è la dimostrazione di come l’attuale esecutivo non lasci alcun margine di soluzione alla vicenda del precariato. Commenta Sabino Venezia del Coordinamento nazionale: “Il decreto Brunetta, intervenendo pesantemente sulla più importante risorsa della pubblica amministrazione, ovvero i suoi operatori, determinerà di fatto una riduzione di personale con la conseguente impossibilità di stabilizzazione dei precari. In altri termini, a Legnano come nel resto del paese, l’unica soluzione alla piaga del precariato cronico è il licenziamento dei lavoratori. Contro questa macelleria sociale”, prosegue Venezia, “le Rdb rilanciano con forza lo sciopero dei lavoratori precari indetto per il prossimo 19 settembre e l’assemblea nazionale che si terrà in quella data a Roma”, conclude il dirigente sindacale.
Il ministro Brunetta intanto ha risposto alle accuse con una nota: la “responsabilità” della gestione del personale è “ascrivibile” ai vertici dell’Asl, mentre il cosiddetto decreto Brunetta “non ha fatto altro che recepire nel pubblico quello che il governo precedente ha previsto nel settore privato” rispetto al limite massimo dei tre anni per i contratti a tempo determinato, il cui protrarsi oltre “non può essere assecondato. Preliminarmente”, sottolinea il ministro, “occorre segnalare che la responsabilità della gestione del personale è ascrivibile ai vertici dell’Azienda sanitaria, che il contratto di lavoro a tempo determinato ha per sua natura un carattere temporaneo e che il suo protrarsi per lunghi periodi di tempo, in quanto segnale di un utilizzo improprio della tipologia contrattuale, non può essere assecondato, tanto nel settore privato quanto nel settore pubblico, per evitare di favorire il costituirsi di forme di precariato cronico”.
Il limite temporale massimo dei tre anni per i contratti a tempo determinato, aggiunge il ministro della Pubblica amministrazione, “non è tipico del lavoro pubblico ma si desume dalla normativa prevista per il settore privato così come introdotta dalla recente legge 247/2007 che ha recepito il Protocollo sul Welfare del precedente governo. Pertanto”, conclude, “il decreto legge 112/2008 (comunemente chiamato ‘decreto Brunetta’) non ha fatto altro che recepire nel pubblico quello che il governo precedente ha previsto nel settore privato”.
Finora non sono arrivate proposte serie di impiego, hanno spiegato le centraliniste licenziate all’agenzia Adnkronos Salute, ma molte attestazioni di solidarietà. In attesa dello spogliarello di venerdì oggi le ex operatrici di call center si sono radunate davanti all’ospedale di Legnano per un presidio di protesta, organizzato con il sostegno del sindacato Rdb Cub pubblico impiego Lombardia. L’obiettivo, precisano, è di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica “non solo sul nostro caso specifico ma sull’emergenza precariato”. E se il metodo inaugurato dalle centraliniste dovesse funzionare, da venerdì le strade d’Italia potrebbero riempirsi di precari senza veli…
Attraverso il gioco tra una maliziosa soubrette e il suo burbero boss, interpretato dal regista stesso, Tinto Brass si mette a nudo per la prima volta nel vero senso della parola, giocando con se stesso e con il concetto di autoerotismo: “Un puro esercizio di stile per non perdere la mano, propedeutico al mio prossimo lungometraggio, una burlesca botta di allegria”, spiega il regista.
E che allegria: protagonista, con Brass, è una sexy cameriera in tenuta di latex che, dopo avere mostrato generosamente il "lato B" durante la preparazione di una torta, rivolge la sua attenzione al frigo, dal quale spuntano cetrioli, melanzane e pannocchie... Tutto questo mentre il regista, spiandola dalla finestra, si cimenta in una sessione di autoerotismo.
La presenza del maestro dell’erotismo all’italiana sarà l'evento clou di una giornata interamente dedicata all’erotismo. Oltre all’anteprima mondiale di Brass verranno proiettati, infatti, cinque cortometraggi erotici "al femminile". Gli X-Plicit film prodotti da Sophie Bramly – che sarà presente al Festival insieme alle registe – nascono con lo scopo di rispondere alle domande che ruotano intorno alla libido, l’immaginario, le fantasie e la sessualità femminili.
Film che mettono in scena l'orgasmo femminile sotto una nuova ottica, diversi rispetto agli standard "classici" del settore, sottomessi generalmente alle esigenze maschili: “Come nella letteratura femminile, anch’essi mostrano il sesso nella sua realtà, in un mondo esente dalla prestazione (contrariamente a quanto mostrato nei film pornografici). Le registe scelte per questo progetto si sono poste continuamente domande legittime sulla sessualità al femminile nel filmare scene di sesso, accompagnate dalle luci giuste, da atmosfere sofisticate, con attori e attrici capaci di scombussolare le spettatrici”, spiega la produttrice Bramly. Le registe di questi X-Plicit sono affermate artiste, attrici, scrittrici, cantanti, da Lola Doillon a Caroline Loeb, da Héléna Noguerra a Laetitia Masson, passando per Arielle Dombasle, nota anche come la moglie del filosofo francese Bernard-Henri Levy.