
La connotazione laico-liberale del governo Aznar era ben nota all’opinione pubblica e aveva già dato i suoi frutti. Due importanti regioni a maggioranza popolare, Madrid e Valencia, avevano già introdotto con successo il registro delle unioni civili, suscitando un vespaio di polemiche da parte del clero, che lo stesso Aznar aveva respinto in toni pacati ma fermi, rivendicando l’equità del suo operato e difendendo la laicità della Stato. Assai meno moderata fu la reazione da parte di altri. Il portavoce di Piattaforma Gay, dello stesso Partito popolare, arrivò a denunciare il presidente della Conferenza episcopale spagnola, nonché arcivescovo di Madrid, per “ingiurie e incitazione alla discriminazione per motivi di orientamento sessuale, con l’aggravante dell’omofobia”. Questo dicevano e facevano i Popolari di Aznar. Tanto è vero che tutti i commentatori – tutti, senza eccezione – prevedevano una vittoria a mani basse dello stesso Partito popolare, anche in virtù di questa importante “apertura” agli omosessuali spagnoli, che secondo le statistiche sarebbero circa 4 milioni, cioè il 10 per cento della popolazione. Sappiamo poi come è andata a finire: le bombe della stazione di Atocha, l’11 marzo, hanno sovvertito il pronostico. Resta il fatto che il progetto della destra spagnola era molto, ma molto più laico e liberale dei nostri minimalissimi Dico, affondati dalla veemente reazione del cattolici integralisti e dal Family Day. In politica, si sa, la virtù della coerenza non è mai stata particolarmente apprezzata. Anche Aznar può farne a meno con disinvoltura. Tuttavia, su questa vicenda, un po’ più di onestà intellettuale non guasterebbe.
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