
La soluzione moderna sembrava essere la rivolta individualistica, lo spirito libertino di un de Sade o di un Rimbaud, il nichilismo desiderante e il disprezzo per la banale propagazione della specie. Ora, modernissimi come siamo, tutto è cambiato. L’amor profano diventa un diritto contrattuale reclamato, e quasi sempre realizzato, un uso comune da omologare senza discriminazioni tra i diritti indiscutibili delle minoranze, un carisma da consacrare alla pari con i carismi matrimoniali (Zapatero).
Che cosa comporta questo cambiamento radicale, e di dove viene? La prima conseguenza è positiva. La mentalità prevalente in un certo periodo della storia ecclesiastica, e la sua ripercussione nella cultura secolare, avevano diffuso intorno alla variante sterile e indifferenziata dell’amor profano un’aura demoniaca capace di portare a pregiudizio e inumanità verso le persone che amano il proprio sesso. Nell’accettazione moderna e modernissima della diversità erotica, di questa variante millenaria della condizione umana, c’è un ritorno anche paganeggiante all’antico sentimento pedagogico e libertario, e un riflesso della complessa comprensione cristiana del peccato, distinto dal peccatore e dalla sua coscienza personale. È quel che si dice, tutto sommato, un progresso.
La seconda conseguenza, molto spiacevole per una mentalità laica e secolare, ma non ideologica, è l’abbassamento della norma umoristica. Tra un po’ metteranno nelle leggi che di queste cose non si può ridere, e forse nemmeno parlare, che discriminarle secondo il loro effettivo profilo di anomalie contronaturali è offensivo e perfino abietto. E con questo saremo tutti più poveri.
Saranno più poveri i maschi e le femmine integrali, familiari, fecondi, e saranno più poveri i libertini pesanti e leggeri d’antan. Le piccole vacanze o l’Anonimo lombardo o Fratelli d’Italia, per dire di tre racconti-saggio delicatamente spregiudicati di un grande Alberto Arbasino, saranno messi all’Indice della moralità corrente, tenuti in sospetto di sessismo, nonostante siano anche lì, come in Gore Vidal e in altri bei campioni del catalogo gay, le radici di una cultura che punta, senza più alcun senso della differenza comica, del parodismo intimamente connesso alle famigliole gay, alla completa equiparazione e omologazione sentimentale e civilistica.
Il guasto vero della normalizzazione sacralizzante dell’amor profano sta proprio qui, non nella consolante fine delle discriminazioni negative, ideologiche e pratiche. Sta nella fine contemporanea della discriminazione come capacità di discernimento, a difesa e a tutela dell’intelligenza e dell’ironia, che sono le armi più forti di ogni civilizzazione umana, compresa la pietà cosmica o il senso religioso dell’esistenza che dir si voglia. Giovanni Testori e Pier Paolo Pasolini sono anticaglie, eppure la loro irrequietudine era parlante, creativa, significativa. Restano i protocolli un po’ burocratici del cerimoniale dei gay in via di assimilazione. E l’assimilazione, lo si sa dalla tragica storia dell’Ebraismo in Europa, è uno degli aspetti, quello illuminista, della soluzione finale di una questione posta da una minoranza dispersa ed eletta. Stavolta per fortuna sarà una farsa, ma è un peccato lo stesso.
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