

E questo è un mistero piu grande. Cosa spinge una giovane donna, apparentemente felice, a buttarsi dalla finestra? Gli ultimi a vedere Ruslana viva sono stati il suo ex ragazzo, Artem Perchenok, e il portiere di notte, Mahmoud Nakeeb. Il primo ha precisato di averla lasciata “tranquilla ” dopo aver trascorso con lei un paio d’ore guardando il film Ghost. Il secondo ha scambiato un veloce saluto nel pomeriggio di venerdì: “Mi sembrava normale”, poi ha aggiunto “era davvero molto gentile. Diceva sempre buongiorno e buonasera”. “Non vedo alcuna ragione” ha detto un altro conoscente “perché dovesse fare una cosa del genere”. Kira Titeneva, la sua migliore amica, nata come lei ad Almaty, ha pianto: “Non prendeva droghe, non beveva, era un angelo, lavorava sempre. Era appena ritornata da Parigi, era al settimo cielo, abbiamo spettegolato al telefono”.
Aveva tutto: successo, apprezzamento della gente, speranze per il futuro. Ruslana, 20 anni, viveva nel mondo della moda dal 2003, quando era arrivata a Manhattan dal Kazakistan grazie all’intuito di Debbie Jones. Ruslana ha lavorato per le migliori agenzie di Mosca, Parigi, Londra e New York, ultimamente per l’agenzia IGM (la stessa di Kate Moss e Heidi Klum) e ha posato per firme famose. Da Marc Jacobs a DKNY, da Vera Wang a Christian Dior. Per cinque anni la modella si è divisa tra pubblicità, copertine, sfilate, servizi fotografici per riviste come Elle e Vogue che l’ha definita “una bellezza fiabesca ed eterna”. Ultimamente aveva iniziato a scrivere poesie, alternando il russo con inglese. “La vita è breve, vìola le sue regole, perdona in fretta, bacia adagio, ama veramente, ridi e non ti rammaricare mai di ciò che ti ha dato gioia”. Un’altra poesia, l’ultima trovata, datata 30 maggio, parla di amore: “L’amore è cieco, t’incendia il cuore. Non confondere l’amore col desiderio. L’amore è sole, il desiderio è solo carne. Il desiderio ti stordisce, l’amore ti dà forza”. E ancora: “L’amore non ti toglie qualcosa per darlo a un altro. È l’essenza della vita. Ma tu non dai la tua vita a un altro”.
E un’altra ancora, che forse rileva uno stato d’ animo non tranquillo: “Mi fa male, come se qualcuno avesse preso una parte di me, l’avesse strappata, calpestata e buttata. Sogno di volare, ma il mio arcobaleno è così lontano”. Il poeta e premio Nobel Joseph Brodsky (nato in URSS e vissuto e morto a New York) ha scritto una volta: “niente vale una vita…”. Ruslana avrebbe potuto realizzare il suo “sogno di volare” in un altro modo e magari trovare il suo arcobaleno. Ormai è troppo tardi.
ne che cantano ogni sera le mie canzoni; condividono le mie speranze, le mie paure e si relazionano con le mie esperienze di vita. Sono felice così”.No, vi prego, ma lei lo deride!!! Gli ghigna in faccia ad ogni mossa! Ma povero! E poi, scusate, cosa non fa trash la scena di lui, sul comò come una statuina di Capodimonte, e lei che lo spompina ad altezza perfetta? Vi prego! Ma poi lo rimma pure!!!
Sulle impronte, ha spiegato Maroni, si sono scatenate polemiche “totalmente infondate, frutto di ignoranza, nel senso di scarsa informazione, o di pregiudizio politico: in entrambi i casi sono polemiche che non mi toccano e non mi faranno retrocedere neanche di un millimetro”. C’è, ha ricordato: “Un’emergenza nomadi definita dal precedente governo che noi vogliamo affrontare e risolvere, naturalmente nella salvaguardia di tutte le norme di diritto italiano, europeo e internazionale, ma vogliamo affrontarla e risolverla una volta per tutte. Deve finire” ha ribadito “l’ipocrisia per cui sono tutti a favore dei bambini però tutti accettano che i bambini vivano in questi campi dividendo lo spazio coi topi”. Quanto al metodo, il ministro ha precisato che “noi interveniamo con la Croce Rossa, tutelando i diritti di tutti, ma vogliamo sapere chi c’è, chi abita le nostre città, chi abita le nostre regioni e chi ha diritto di stare e chi non ha diritto di restare”.
Per questo, ha convocato al ministero coloro che questa linea la devono applicare concretamente, cioè i tre commissari delegati. A presiedere la riunione Giuseppe Procaccini, il capo di Gabinetto del ministro, che ha ricordato ai prefetti - in particolare a Mosca - che l’ordinanza di nomina affida loro il compito di identificare i nomadi, anche i minori, “attraverso rilevi segnaletici”, come le impronte digitali appunto. Il prefetto di Roma, pochi giorni fa, aveva invece detto che “così come non si prendono le impronte digitali per il passaporto ai minori italiani, così non si vede il motivo per cui bisogna farlo con i bambini rom”.
Dichiarazione che, naturalmente, non è piaciuta a Maroni, il quale ha chiesto a Procaccini di convocare i prefetti per stabilire una linea comune tra le tre città, in modo da evitare posizioni discordanti come quella di Mosca.
La riunione è durata circa due ore e Mosca ha avuto modo di spiegare il suo punto di vista. Al termine, il Viminale ha fatto sapere che si è trattato della “prima di una serie di verifiche periodiche, che ha consentito di mettere a punto una completa e condivisa linea tecnica nell’applicazione delle ordinanze”. È stato quindi rilevato che il censimento nei campi nomadi “sta procedendo regolarmente, secondo le indicazioni contenute nelle ordinanze, con l’obiettivo di riconoscere l’identità personale, anche a coloro che non sono in grado di dimostrarla, attraverso il ricorso alle tipologie di rilievo segnaletico necessarie, comprese le impronte digitali”.
E sostegno a Maroni è arrivato dal suo compagno di partito, nonché ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli. “Se rilevare le impronte per qualcuno può rappresentare una discriminazione” ha detto “io lancio una proposta: tutti i cittadini italiani si facciano rilevare le impronte”. Il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, ha definito l’iniziativa del ministro dell’Interno: “Sacrosanta. Meraviglia che qualche prefetto non conosca le leggi vigenti in Italia e in Europa, che impongono procedure di identificazione certa soprattutto dei minori privi di documenti e vittime di chi li manda a rubare”.
Critiche, invece dall’opposizione. “È un segno di barbarie” ha osservato l’europarlamentare del Pd Gianni Pittella “che il governo Berlusconi, a 70 anni dalle leggi razziali, decida che la questione rom si risolve prendendo le impronte digitali ai bambini”.
Secondo i ricercatori l'Italia si trova tra agli ultimi posti per quanto riguarda la contraccezione: il 46,4 per cento dei giovani non utilizza nessun metodo anticoncezionale mentre l'8,5 per cento si affida al coito interrotto. La conseguenza? Delle 356.000 confezioni di pillola del giorno dopo consumate tra il giugno 2006 e il luglio 2007, ben il 55 per cento risulta utilizzato dalle giovani sotto i 20 anni. Inoltre, dato anche lo scarso utilizzo del preservativo vi è un'alta diffusione tra i giovani di malattie sessualmente trasmesse come l'HPV, il citomegalovirus, la sifilide e la clamidia, la cui incidenza negli individui tra i 14 e i 25 anni è in costante aumento.
Ma non tutti i ragazzi accettano passivamente la loro “non conoscenza” e sono quindi costantemente alla ricerca di notizie, conferme, dati che li aiutino a vivere con serenità questo aspetto della vita, che da qualche anno li coinvolge in età sempre più precoce.
Le fonti preferenziali di informazione per i giovani sono internet (blog, forum e siti dove rispondono specialisti) e gli amici. Internet è ormai vista come una vera a propria “fonte del sapere”. Secondo uno studio recentemente pubblicato su Sexologies, infatti, circa il 44 per cento dei giovani ricorre al web per cercare informazioni sui temi della salute e della sessualità. Il web offre infatti il vantaggio dell'anonimato.
Molti giovani, infatti, incontrano grandi difficoltà ad affrontare discorsi legati alla sessualità, e di conseguenza anche legati alla contraccezione, in famiglia. Secondo alcune ricerche almeno il 60 per cento delle giovanissime non parla di contraccezione con la propria madre.
Alcuni adolescenti si avvalgono del sostegno offerto dai consultori e dai centri appositamente istituiti. Infine, tra le altre fonti di informazioni vi sono libri e riviste.
Tosi, insieme ad altri quattro leghisti (Matteo Bragantini, Lucio Coletto, Enrico Corsi e Maurizio Filippi) era stato rinviato a giudizio dal pubblico ministero veronese Guido Papalia per essere stato promotore di una petizione nella quale si chiedeva “lo sgombero immediato di tutti i campi nomadi abusivi e provvisori e che l’amministrazione non realizzi nessun nuovo insediamento nel territorio comunale”. La raccolta di firme era stata pubblicizzata da manifesti con su scritto “no ai campi nomadi, firma anche tu per mandare via gli zingari”.
A carico di Tosi, all’epoca (2001) capogruppo regionale della Lega, e a riprova della volontà discriminatoria erano state considerate anche le parole da lui pronunciate: “Gli zingari” aveva detto “dovevano essere mandati via perché dove arrivavano c’erano furti”. Ma “la discriminazione” avverte la Suprema Corte “si deve fondare sulla qualità del soggetto (nero, zingaro, ebreo ecc) e non sui comportamenti. La discriminazione per l’altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l’altrui criminosità. In definitiva un soggetto può anche essere legittimamente discriminato per il suo comportamento ma non per la sua qualità di essere diverso”.
Quella storia, Minoli l’aveva raccolta dopo la morte della madre, quando scoprì in un comò “quattro cassetti traboccanti di carte, atti notarili, documenti, bilanci, contabilità, di tre generazioni”. “Non sapremo mai” scrive Minoli all’inizio del suo romanzo “come riuscì a conservarle per tanti anni, né il motivo di quel silenzio”. Fatto sta che quel silenzio è ora rotto.
Dopo essere state chiuse da Minoli per altri vent’anni in un baule (di zinco, appunto), quelle carte e quelle storie sono ora state organizzate in un racconto che attraversa il tempo tra nonni, genitori e figli. In un albero genealogico che percorre un secolo di storia d’Italia, mentre le grandi vicende politiche si ripercuotono sulle vicende quotidiane dei protagonisti. Alle pagine scritte dall’autrice si aggiungono lettere, poesie e fotografie, in un continuo mutare di registo tra dolori, amori e passioni.
Quando ha deciso che quelle carte sarebbero diventate un romanzo?
Intanto, bisogna dire che forse non si tratta nemmeno di un romanzo. È senz’altro un percorso attraverso la memoria. Ma qualcuno mi ha accusata di non aver saputo fare la romanziera nel senso più stretto del termine. Qualcuno ritiene che nelle mie pagine manchi la giusta distanza emotiva tra le vicende che racconto e e quelle che ho vissuto. Ma d’altra parte, il coinvolgimento era inevitabile. Ho sentito la necessità di scrivere di quelle persone proprio perché le conoscevo bene. E perché, dopo aver letto tutte quelle carte, mi sono accorta di aver conosciuto ancora più in profondità i miei genitori, i miei nonni, i miei bisnonni. Quanto al momento preciso in cui ho deciso di scrivere il libro, non saprei definirlo. Forse mi è venuto naturale farlo nel momento in cui la mia vita è diventata un po’ meno turbolenta: dopo tre figlie da crescere, un divorzio e i vari cambi di casa tra Torino e New York, in tutta la mia esistenza non avevo mai avuto il tempo di concentrarmi su un lavoro come questo.
Cosa ha provato scrivendo il libro?
È stata un’esperienza completamente nuova. In precedenza avevo fatto delle traduzioni, avevo scritto qualche articolo, ma mi sono resa conto che la narrativa è tutt’altra cosa. Così è stato piacevole scoprire che c’erano tante cose che non sapevo, e che ho imparato scrivendo. Ho capito che la scrittura ha un importante riflesso su se stessi. E che il meccanismo dello scrivere incamera più che altro il nostro mondo irrazionale: è un processo che parte dall’intuizione, passa attraverso l’elaborazione e poi prende forma sulla pagina. Ho imparato anche quanto la scrittura possa essere un’attività gioiosa e al contempo carica di dubbi.
Un esordio letterario a 85 anni, e senza aver mai avuto il sogno nel cassetto di diventare scrittrice: un caso abbastanza anomalo…
James Hilman, ne La forza del carattere (edito da Adelphi, ndr), sostiene che quando si diventa vecchi si è più leggeri e meno responsabili perché si è consapevoli che qualsiasi cosa si stia facendo, finirà presto. Forse è per questo che mi è venuta fuori questa creatività che non pensavo di avere. Dopo aver concluso il romanzo mi sono sentita più che altro liberata: dalla fatica della scrittura e anche da questa storia che finalmente ha preso una forma organica. Poi però mi sono accorta che avevo ancora delle cose da dire. E non escludo che possa presto iniziare a scrivere un secondo romanzo.
Non c’è niente di più “rognoso” della scaletta degli interventi ad una manifestazione. “Parlo prima io”, “no prima io”: questo il tenore delle discussioni, che avvengono sempre giorni prima dell’evento. Forse stavolta c’è stato un difetto di comunicazione ai No Vat - che, lo ricordo, al Gay Pride di Roma “occuparono” simbolicamente piazza San Pietro.
Comunque, un incidente che poteva essere evitato.