
Capito, amico omosessuale? Mica ti stanno offendendo: semplicemente, per il bene del paese, ti fanno notare che sei un malato che travia gli infanti.
Vuoi imparare o no ad andare al di là delle contingenze, frocio che non sei altro?
Dopo mesi di terrore e di carneficine, la capitale irachena ha ripreso, guardinga, il suo respiro affannoso. Scuole e università funzionano, ristoranti, negozi e alcune rivendite di alcolici hanno riaperto, il bazar di Shorja è di nuovo affollato e in via Saadun il traffico è tornato caotico. Passeggiare è un privilegio non concesso agli stranieri: dai bunker della Zona verde i diplomatici emergono di rado, in convogli armati; e i pochi giornalisti, se non hanno una scorta privata, devono cercare di mimetizzarsi. Il rischio di rapimenti è ancora altissimo, ma avventurarsi nella Zona rossa non è più un suicidio.
Le autobombe che dilaniavano dozzine di poliziotti e civili sono ora un’eccezione. I cecchini sono spariti dai tetti. E anche se di notte i kalashnikov si fanno sentire, la faida interreligiosa sembra per il momento cessata. Gli attacchi contro le forze americane sono diminuiti del 55 per cento attestandosi ai livelli del gennaio 2006, prima della distruzione della moschea sciita di Samarra, scintilla della guerra confessionale.
Gli attacchi kamikaze sono calati da 59 a 16 tra marzo e ottobre. E al principale obitorio della capitale, fino a poco tempo fa sommerso da un flusso ininterrotto di cadaveri orrendamente mutilati, le celle frigorifere sono semivuote: la media è scesa a meno di una decina al giorno.
Se non è più un inferno, Baghdad è però ancora un angosciante purgatorio, un infido campo di battaglia. Il bollettino di guerra di sabato 1° dicembre riporta cinque corpi non identificati rinvenuti nelle discariche di immondizia, tre poliziotti e tre civili assassinati, un militare americano morto per lo scoppio di una mina e 63 vittime nel resto del paese, tra i quali 16 contadini uccisi e 20 sequestrati da Al Qaeda nei pressi di Baquba, due poliziotti abbattuti a Mosul e 20 cadaveri scoperti in una fossa a Fallujah.
Nel 2007 il «body count» americano, il conteggio dei cadaveri, ha già raggiunto quota 879, superando ogni record degli anni precedenti (il totale dal 2003 ammonta finora a 3.882 caduti), ma in ottobre si sono registrate solo 40 vittime tra i marines e 800 tra gli iracheni: la cifra più bassa dal marzo 2006.
I militari, più cauti dei politici, non cantano vittoria. «La situazione è migliorata» avverte il generale Joseph Fil, comandante della piazza di Baghdad, «ma Al Qaeda non è ancora sconfitta». Eppure, anche sul piano politico qualcosa si muove. In novembre è stata chiusa l’Associazione degli ulama sunniti della moschea Umm al-Quraa, nota per il suo atteggiamento ambiguo nei confronti della guerriglia.
Trecentomila sciiti hanno firmato una petizione che condanna le ingerenze di Teheran. E nei cavernosi saloni dell’hotel Rashid gli sceicchi della provincia di Diyala, sunniti e sciiti, cercano per la prima volta di individuare una strategia comune per combattere il terrorismo. Non è poco, se si pensa che fino a ieri discutevano a colpi di lanciagranate.
Anche i profughi stanno rientrando. Non è il controesodo strombazzato dal governo, agevolato da servizi gratuiti di pullman e incentivi in denaro. L’Onu calcola 20 mila rimpatri su oltre 4 milioni di rifugiati. E quasi tutti costretti a lasciare la Siria per ragioni economiche e per le restrizioni ai visti imposte da Damasco. Però resta comunque un segnale.
Il «surge», l’invio di 30 mila militari di rinforzo deciso in gennaio dalla Casa Bianca, ha restituito un po’ di fiducia, e un po’ di vita, ai 5 milioni di abitanti della martoriata capitale. Il generale David Petraeus, comandante delle forze Usa in Iraq, ha fatto uscire i suoi uomini dalle caserme e li ha schierati in 29 postazioni all’interno di Baghdad.
Le strade sono costantemente pattugliate da militari appiedati e dai poderosi blindati Stryker. E i posti di blocco della polizia irachena si sono moltiplicati, rendendo più arduo il transito delle autobombe. La sicurezza è aumentata: soltanto il 13 per cento della città è considerato off limits.
Altre due componenti hanno contribuito al successo: la tregua proclamata in agosto da Muqtada al-Sadr e gli accordi conclusi da Petraeus con i leader delle fazioni sunnite. Ma sono fattori ad alto rischio.
L’Iran, che ha convinto Muqtada a sospendere gli attacchi dell’Esercito del Mahdi e ha tagliato le forniture di armi alla guerriglia, potrebbe ripensarci in assenza di contropartite sul tema nucleare. E le milizie reclutate da Petraeus, in un paese traumatizzato dalla pulizia etnica, rischiano di trasformarsi in un nuovo strumento del terrore. Gli accordi con i sunniti, sperimentati con successo nella provincia di Anbar e battezzati al-Sahwa, il Risveglio, si sono estesi alla capitale: le sconfitte subite nella guerra confessionale, e i dollari di Washington, hanno persuaso i leader nazionalisti che la loro sopravvivenza può essere garantita soltanto da un’alleanza con gli americani.
Da «insurgent», che uccidevano nel nome di Osama Bin Laden, 80 mila ex combattenti dell’Esercito dell’Islam sono diventati «concerned local citizens», cittadini consapevoli, con uniformi, giubbotti antiproiettile, veicoli e stipendi (da 300 a 600 dollari) offerti dal Pentagono. Il loro apporto è stato determinante nella lotta ad Al Qaeda, sempre più emarginata, e nello smantellamento delle cellule infiltrate dalla Siria. In cambio, si sono ripresi mezza Baghdad, oggi balcanizzata lungo linee tribali e religiose in una miriade di enclavi segregate e difese dalle milizie dei locali warlord: l’Esercito del Mahdi negli slum di Sadr City, a Kadhimiya, Hurriya e Shu’ala; le Brigate al-Badr di Abdelaziz al-Hakim a Jadriya; i Cavalieri dei due fiumi e i Freedom fighters nei distretti sunniti di Adhamiya, Yarmuk e Amariya.
La vita, in superficie, sembra scorrere quasi normalmente. In Rashid street sono riapparse le bancarelle dei libri. Sul lungofiume Abu Nawas, sorvegliati da un plotone di marine, i ragazzi giocano a calcio e un paio di ristoranti servono il «masgouf», la carpa del Tigri arrostita sulla brace. A Karrada i furgoni scaricano i generatori importati dalla Giordania. E nel parco di Zahwra i bambini si divertono sull’ottovolante. Ma nessuno si allontana dal proprio quartiere.
Raad Sattar, pensionato dell’esercito che ha passato 9 anni nelle prigioni iraniane, frequenta solo i suoi vicini di Jadriya: «Meglio non rischiare» dice. Sua moglie Montaha, insegnante di matematica, esce solo per andare a scuola, a due isolati di distanza. Il figlio Mohammed, 16 anni, non ha il permesso di allontanarsi dalla sala giochi sotto casa dove passa il weekend incollato alla console. Gli spostamenti sono complicati.
I viali di scorrimento sono strozzati dai posti di blocco e dalle barriere antikamikaze. Ci vogliono 2 ore per raggiungere l’enclave sunnita di Amariya. Il quartiere (25 mila abitanti) dove la scorsa primavera Al Qaeda annunciò la nascita dello «stato islamico» è circondato, come altri distretti sunniti e sciiti, da una muraglia di blocchi di cemento alti 3 metri, installati dagli americani per impedire le incursioni degli squadroni della morte.
L’unico accesso, consentito ai residenti muniti di speciali permessi, è presidiato dai cavalieri di Abu Abed, ex membro dell’Esercito dell’Islam, il gruppo responsabile dell’omicidio di Enzo Baldoni. Abu Abed governa con il piglio e la determinazione di un boss mafioso: dentro le mura del suo feudo ha trasformato il killing field più insanguinato di Baghdad in un’oasi di assoluta sicurezza. «Ma cosa accadrà quando gli americani se ne andranno?» si chiede Bilal, uno dei pochi sciiti rimasti ad Amariya.
Il governo di Nuri al-Maliki non ha saputo risolvere questioni decisive come la ripartizione dei proventi petroliferi, lo status di Kirkuk, la definizione dei confini regionali. E tutti sanno che il 2008 sarà un anno cruciale. Il mandato della forza multinazionale non sarà rinnovato oltre dicembre e l’impegno militare degli Stati Uniti, chiunque salirà alla Casa Bianca, è destinato a cambiare: entro Natale è previsto il ritiro dei primi contingenti dalla provincia di Diyala.
Il cessate il fuoco dell’Esercito del Mahdi scade in gennaio. E molti iracheni sospettano che la temporanea sospensione dei combattimenti sia una tattica per guadagnare tempo in attesa del ripiegamento americano: jihadisti di Al Qaeda, milizie sunnite e seguaci di Muqtada si starebbero armando e riorganizzando per la conclusiva resa dei conti.
La notizia, in inglese, è raggiungibile sul giornale svedese The Local
PROTESTA CONTRO DL SICUREZZA - Gli assalitori con il volto coperto hanno lasciato un volantino di rivendicazione presso la sede del Pd: «Molto poco caro Partito Demokratico, questo è un krapfen attack! In questo 12 dicembre di lutto e di memoria mai sopita (il riferimento è all'anniversario della strage di piazza Fontana del 1969, ndr), siamo qui a ringraziarvi dolcemente per averci regalato un bel 'pacco' sicurezza. Lo avete fatto per il bene di tutti e tutte noi, per farci sentire tutti e tutte più a nostro agio nella nostra quotidianità di 'produci consuma, crepa'». Il lungo comunicato si conclude così: «Sicure che il vostro simbolo elettorale è una schifezza grafica che fa il paio con la vostra schifezza morale. Sicuri e sicure che state mettendo in opera un progetto di deriva autoritaria, finalizzata a reprimere il conflitto sociale e il dissenso di tutti coloro che non amano la pacificazione vagheggiata dalla governance di SuperWalter. Allora beccatevi i nostri krapfen umanitari, le nostre bombe alla crema intelligenti, che vi vadano di traverso. 12 dicembre 1969: no alla strategia della tensione. 12 dicembre 2007: no alla strategia della paura».
TUTTI I COMUNICATI IN ORIGINALE E LA RASSEGNA STAMPA SULL'ACCADUTO.
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Ndr. E noi? Bhe noi da bravi gay piccolo-borghesi a Milano blocchiamo il traffico per qualche minuto con un insulso girotondo con decina di attivisti dell'Arcigay al Palazzo di Giustizia in Corso di Porta Vittoria. Io c'ero, ero sul lato della Camera del Lavoro ed ho ben sentito le maledizioni e stramaledizioni da parte gente che a quell'ora tornava a casa dall'ufficio volate dietro a quattro gatti disordinati (tra l'altro alcuni pateticamente travestiti da Guardia Svizzera...) e vocianti. E pensate Paolo Ferigo /foto in basso) è pure soddisfatto.
Peccato che le idee migliori e quelle più d'effetto seppur pacifiche spiritose le hanno sempre altri. Che dire... al solito vecchi e inadeguati. Proteste da bocciofila...
---Il comunicatino dell'Arcigay.
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La manifestazione dell'11 dicembre indetta dall'Arcigay Milano davanti al tribunale ha bloccato il traffico in segno di protesta.
Tale manifestazione, iniziata alle 18.30, era mirata al sostegno delle norme contro l'omofobia recentemente approvate al Senato e a rischio cancellazione alla Camera.
I manifestanti, uniti in un girotondo in Corso di Porta Vittoria, hanno fermato in due riprese il traffico in segno di protesta al grido: "Diritti! Diritti!".
Secondo il presidente di Arcigay Milano Paolo Ferigo: "I cinque minuti di ritardo dei pendolari non sono nulla in confronto ad una vita in attesa di diritti ancora negati"
Paolo Ferigo
Presidente Arcigay Milano
La “sala delle capriate” - i frequentatori abituali di via della Pace lo sanno bene, almeno quanto il fatto che al Chiostro c’è il wireless gratuito, o che al vicino Caffè della Pace il caffè in sé è l’ultima cosa da valutare - è da sempre dedicata a mostre più raccolte coraggiose e di quello che il Chiostro ospita nelle sue principali sezioni.
Con Codice 01, infatti, parte anche Vari(e)azioni, un appuntamento sperimentale, ma speriamo il più possibile fisso, con un modo diretto e senza fronzoli di intendere il rapporto fra giovani pittori e artisti emergenti e collezionisti intraprendenti (si spera).
Talmente intraprendenti che, secondo le intenzioni dei curatori, i collezionisti potranno essere i visitatori stessi, guardando, toccando e comprando - se non proprio tutto con la stessa facilità - certo a condizioni e con un entusiasmo del tutto rari (fino al 10 febbraio 2008, dal martedì alla domenica, con ingresso libero).
Gli artisti presenti: Stefano Bolcato, Justin Bradshaw, Daniele Contavalli, Giovanni De Angelis, Andrés Gallo-Cajiao, Enrico Guarino, Pietro Mancini, Ilaria Mugnaini, Giangaetano Patanè, Chiara Tommasi.
Interessante il logo della mostra, che rappresenta un codice a barre, già variopinto anziché tristemente monocromo, che viene ulteriormente sublimato dalla stessa “spettinatura” che le intenzioni dei curatori della mostra vogliono applicare al mercato dell’arte contemporanea, giovane e giovanissima.
La vicenda nasce da una direttiva- cornice dell'Unione europea che impone ai Paesi membri di adeguare le legislazioni alla lotta contro la prostituzione giovanile e la pornografia infantile. La ministra della Giustizia tedesca, Brigitte Zypris, socialdemocratica, ha dunque preparato un progetto per mettere il Paese in linea con le indicazioni di Bruxelles e cercare di creare ostacoli allo sfruttamento sessuale dei minori. La novità più importante sta nel fatto che la legge in questione prevede di abbassare l'età in cui si è punibili penalmente da 18 a 16 anni nei casi di prestazioni sessuali (ma anche effusioni spinte) nelle quali intervenga qualche forma di compenso materiale. A legislazione vigente, se un maggiorenne (o una maggiorenne, ovviamente) «adesca» una minorenne usando denaro o un regalo è perseguibile. Con le nuove norme, l'età viene abbassata di due anni, con il risultato che nel rapporto tra ragazzi viene gettata la minaccia concreta del reato penale. Se la legge passasse, due sedicenni, per esempio, dovrebbero guardarsi da se stessi ma, probabilmente, soprattutto dalla non impensabile reazione di genitori contrari alle effusioni di uno dei due teenager.
Si aprirebbero le porte a ingerenze senza fine. Secondo l'ex giudice federale Wolfgang Neskovic, del partito Die Linke (Sinistra), la riforma «criminalizza il corteggiamento dei teenager», che finora è stato libero. Jerzy Montag, rappresentante dei Verdi, dice che il progetto è ambiguo perché non chiarisce se un giovane si rende colpevole di un reato quando invita a cena o al cinema una ragazza nella speranza di un «avvicinamento sessuale ». Ancora più netti i liberali: Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, che fu ministro della Giustizia, dice che la nuova legge «è in linea con le idee dei cristiano-democratici e dei socialdemocratici di proibire tutto e di regolare tutto». Al di là delle reazioni delle opposizioni politiche, però, anche gli esperti sono critici. Helmut Graupner, un sessuologo citato ieri dal quotidiano Berliner Morgenpost, sostiene che, oltre al diritto di esser protetti dal pericolo della prostituzione, i giovani hanno soprattutto «il diritto di esprimersi anche sessualmente: ma questo progetto limita la loro possibilità di decidere».
Insomma, mentre finora si è punito il «vantaggio» di cui è portatore il maggiorenne rispetto al minorenne, ora si passerebbe a punire l'autodeterminazione. A parere di Graupner, si tratta di un comportamento irrazionale dei politici: «Nessuno vuole essere sospettato di favorire abusi sessuali, ma questa riforma è la semplice traduzione di norme degli Stati Uniti, un misto di pruderie e di panico i fronte al problema della pornografia in relazione ai giovani». Anche l'Italia dovrà adeguarsi alla direttiva. Almeno in questo caso, però, il modello tedesco non è per ora il migliore: ogni gesto di cavalleria, un invito a cena, un anellino tra ragazzini, diventerebbe tabù.
Ovvero Roberta Bonanno e Marina Marchione, le due caposquadra della scuola. La prima è una cantante (peraltro molto avanti nella tecnica), la seconda è un’attrice (dalla mimica facciale irresistibile, oltre che credibilissima nelle esibizioni ‘di stomaco’). Da qualche settimana a questa parte non fanno che scontrarsi, complice la competizione agonistica ma anche due caratteri incompatibili.
I più allergici alle polemiche di Amici non apprezzeranno che a (s)caderci siano anche gli allievi più meritevoli. Ma in questo caso va spezzata una lancia a favore di due ragazze tostissime, consapevoli di partecipare a un reality show in cui la lite catalizza inevitabilmente l’interesse, eppure in grado di uscirne a testa alta.
Entrambe hanno rivelato ai microfoni di Verissimo di stimarsi troppo e di darsi addosso l’una con l’altra proprio per questo. Quel che traspare dai loro battibecchi è, infatti, il classico confronto costruttivo tra due rivali che non perdono la dignità e, soprattutto, la consapevolezza del contesto. In più, è stato riconosciuto da professori e produzione che Roberta e Marina hanno dialettica da vendere, ragion per cui la loro querelle compensa di gran lunga il livello di analfabetismo semi-generale.
Prendete il nuovo arrivato, Antonino Lombardo. Da quando è entrato nella scuola al posto di Gianluca Conversano (povero cucciolo), ha fatto di tutto per mettersi al centro dell’attenzione… ma nel peggiore dei modi. Irritante e ignorante come pochi, il ballerino appena uscito da un corso di salsa e merengue sta cavalcando l’onda dell’uno contro tutti, lanciando sfide a destra e a manca.
Che il suo modello sia l’isterico Raffaele Tizzano, dal ciuffo ritto a prova di rissa, è piuttosto innegabile. Ma l’antipatia, per ora, non depone a suo favore. E mentre Marina e Roberta si accapigliano con stile, lui rincorre mezzucci poco ortodossi per accalappiarsi uno straccio di visibilità. Peccato che anche per dar fiato alla bocca bisogna aver studiato un minimo… l’italiano.
La ragazza senza piedi della finlandese Kaisa Leka, pubblicato dalla Coniglio editore è invece la cronaca a suon di vignette di un’odissea che molti farebbero fatica ad accettare. Quella di un’artrite talmente complicata da richiedere come soluzione finale quella dell’amputazione dei piedi. Ma la storia scorre via leggera, forte nei suoi contenuti e nei valori che tira fuori, dalla paura dell’operazione al dolore fisico, alla fatica del recupero, al trauma delle protesi. La matita di Kaisa Leka riesce a dire quello che le parole fanno fatica a formulare. Un modo di guarire anche questo e soprattutto di testimoniare al mondo che la malattia può essere una forma di arricchimento.
Non sempre il lieto fine è assicurato, nella vita si intende non nei libri. Ma alla fine resta in eredità il coraggio e il talento per esprimerlo. È il caso dell’americana Miriam Engelberg. Con i suoi fumetti in Il cancro mi ha reso più frivola, pubblicato da Tea si è avvicinata alla morte con serenità e perspicacia. Miriam non ce l’ha fatta. Ma quelle tavole ancora parlano per lei.
Tant’è, i pezzi forti di questo pezzo di paleotelevisione che resiste al tempo che passa restano proprio i cosiddetti superospiti. Uno di essi, nel nuovo festival di Pippo Baudo, sarà il sempreverde Jovanotti - che i meno giovini ricorderanno in gara a Sanremo, con un improbabile Vasco.
L’esibizione la potete vedere alla fine dell'articolo, anche se la qualità è quel che è. Era il 1989, il brano era dello stesso Jovanotti - che salutava un’allibita platea dell’Ariston con un improbabile ciao ragazzi, grazie - e di Cecchetto-Cerosimo, presentavano Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi. Fra le nuove proposte vinceva Mietta, fra gli emergenti (!) Paola Turci, fra i big trionfava il duo Leali-Oxa con Ti lascerò.
Il cantante, secondo il settimanale Chi, parteciperà al Festival inseme al brasiliano Sergio Mendes.
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E’ “La Milano delle fabbriche“, un percorso turistico insolito che, fino al 20 dicembre, propone 10 giorni di aperitivi in fabbrica con concerti e letture nelle sedi aperte per l’occasione, con ingresso gratuito. Ieri ad inaugurare l’iniziativa ci ha pensato il musicista Folco Orselli nello storico edificio della Mensa Operaia in via Montegrappa. Oggi, martedì 11, il cortile dell’antico Magazzino della seta, sede di Banca Popolare Commercio e Industria, si anima con la performance di letture e musica “La via della seta” (ore 20.30, via Moscova 33, ingresso gratuito su prenotazione al tel. 02.795892).
Si prosegue giovedì 13 con la serata di letture, video e musica jazz alle Officine Om, ora Studio Pietrasanta 12 (dalle ore 18, via Pietrasanta 12), e venerdì 14 le visite guidate e il volo in dirigibile all’Hangar Forlanini ora Officine Leonardo (dalle ore 19.30, via San Giusto 85), mentre lunedì 17 il Museo della scienza e della tecnologia proporrà visite guidate a tema (ore 18.30-24, via San Vittore 21). A sopportare la bella iniziativa anche una guida del Comune allegata al prossimo numero di ViviMilano.
L'attore 39enne ha svelato come ha tenuto lontane le tentazioni delle droghe in tutta la sua vita. Come riporta il sito icydk.com, Smith ha raccontanto come da giovane amasse tantissimo anche fantasticare sulle donne, ogni volta che aveva del tempo libero. Il protagonista di "La ricerca della felicità" di Silvio Muccino è amatissimo negli States, tanto che ha è entrato a far parte dell'elite le cui impronte sono impresse nel cemento del marciapiede davanti al Teatro Cinese di Hollywood. Prima di lui hanno lasciato le orme attori del calibro di Marilyn Monroe, Sophia Loren e Cary Grant.
L'attore candidato all'Oscar per "Alì" era accompagnato dall'amico e collega Tom Cruise, che è stato intervistato dalla trasmissione Entertainment Tonight: "Sono onorato di conoscere Will e la sua famiglia - ha detto Cruise -. Quando sono con lui mi sento ispirato, ci diamo forza a vicenda. Condividiamo lo stesso livello di realtà e di impegno nei confronti del nostro lavoro e delle nostre famiglie. E poi Will sa come divertirsi!".
E non è finita qui. Will Smith ha detto di voler diventare un giorno presidente degli Stati Uniti. L'attore, che ha dichiarato il suo appoggio al candidato democratico Barack Obama per le presidenziali del prossimo anno, ha scherzato sulla sua possibile elezione: "Ho sempre sognato di diventare il primo presidente nero degli Stati Uniti - ha affermato - e Obama mi ha rubato l'idea. Comunque può andare prima lui, basta che mi lasci il posto quando sarò pronto".